Giulio Tremonti ha commentato con un «molto bene» la bozza di manovra uscita dal vertice di Arcore. È davvero un bene che il ministro dell’Economia sia soddisfatto, perché il testo definito tra Berlusconi e Bossi nelle sette ore di incontro fa a pezzi l’impostazione originale degli interventi finanziari. Niente tassa di solidarietà per i «super-ricchi». Pesante intervento sulle pensioni. Taglio netto delle province: scompariranno tutte, non soltanto le più piccole. Invece niente tagli ai comuni minori, che però saranno obbligati a gestire in «unioni» le funzioni principali. Dimezzamento del numero dei parlamentari. Riduzione complessiva dei tagli agli enti locali. Ridimensionamento dei vantaggi fiscali alle cooperative.



In comune con la manovra annunciata agli inizi di agosto, in piena bufera dei mercati, resta la volontà di non intervenire sulle aliquote dell’Iva. Come pure rimangono i due pilastri su cui poggiano le rassicurazioni ai mercati: l’importo complessivo della manovra – immutato – e i tempi per l’azzeramento del deficit statale – anticipati al 2013 anziché 2014.



Sulla carta, la manovra sembra migliore della precedente. Si apportano tagli consistenti ai costi della politica e si interviene sulle pensioni come richiesto con insistenza dall’Unione europea su pressione di Germania e Francia. Sparisce la tassa che ha fatto saltare la prima giornata di serie A e che avrebbe cancellato il vanto di Silvio Berlusconi di «non aver messo le mani nelle tasche degli italiani».

Ma neppure questa manovra è esente da criticità. Si tratta di interventi tesi a tagliare: operazione necessaria, ma che non viene accompagnata da misure che favoriscano la crescita dell’economia. Gli interventi sulle province e sul numero dei parlamentari avverranno per via costituzionale: forse non si poteva agire diversamente, tuttavia l’iter dell’abolizione sarà lungo e richiederà il sostegno dell’opposizione, se si vorrà evitare il referendum confermativo (che allungherebbe ulteriormente i tempi e potrebbe avere anche un esito incerto).



Resta inoltre da vedere come verrà attuata l’imponente ristrutturazione istituzionale che ne consegue: la sparizione delle province comporta la soppressione di una molteplicità di enti (prefetture, questure, provveditorati, agenzie, eccetera) e ciò richiederà un’azione riformatrice massiccia e decisa. Avrà il governo la forza di condurla pienamente in porto?

Infine, i tagli alle coop. Quello cooperativo è un movimento composito: ci sono le grandi società mutualistiche leader in vari settori di mercato e una miriade di piccole realtà che operano nel sociale. Anche qui bisogna attendere di conoscere con precisione dove e come si abbatterà la scure della manovra. Il primo segnale però va nel senso di un nuovo statalismo che penalizza un settore dell’economia che spesso vive soltanto in virtù dell’azione «dal basso» dei gruppi sociali. Ancora una volta, è reale il rischio che la sussidiarietà resti soltanto un principio ideale e non un criterio di azione politica.