Il Pdl ha evitato l’arresto del suo deputato Marco Milanese, non l’ennesima conferma del clima da fine impero. La maggioranza ha retto, i numeri ancora una volta hanno dato ragione a Silvio Berlusconi il quale ha ripetuto soddisfatto che «il governo va avanti». Un altro scoglio è stato superato e la trireme Pd-Lega-Responsabili veleggia verso nuove e più ambiziose mete.
Tutto bene, dunque? Il sito internet di Repubblica ha catturato uno scambio di battute tra il premier e il ministro La Russa che sintetizza la giornata. «Per solo sette voti…», mormora Berlusconi all’ex colonnello finiano seduto alla sua destra. ‘Gnazio annuisce muovendo la testa, in silenzio, e il leader del centrodestra resta impietrito, gli occhi socchiusi e il mento in fuori, sovrappensiero, forse intento a conteggiare il numero dei franchi tiratori.
Anche se l’ordine di scuderia era chiaro e netto, nella maggioranza si sono aperte alcune crepe che non vanno sottovalutate. Il voto sull’arresto dell’ex braccio destro di Giulio Tremonti era un appuntamento da non fallire, anzi da superare in forze per lanciare un segnale di compattezza interna e contro «lo stato di polizia». La Lega Nord, una cui frangia in luglio aveva dato via libera all’incarcerazione di Alfonso Papa, aveva garantito fedeltà piena – secondo le parole di Umberto Bossi – «per non fare cadere il governo». Il ministro Maroni, considerato il capofila dei «frondisti» padani, quello più vicino alla crescente fetta di elettorato nordista più esasperato giustizialista e anti-casta, aveva ribadito che si sarebbe allineato alle decisioni del partito.
Eppure sei franchi tiratori hanno cercato di impallinare il governo: e questo è il primo campanello d’allarme. Il secondo è la caccia a scoprire «che cosa ha avuto in cambio la Lega», come sibila l’opposizione. Un nuovo «patto» tra Bossi e Berlusconi (e Maroni)? Pare in realtà che non ci siano patti, ma semplici tatticismi.
Già domenica a Venezia il titolare del Viminale si era mostrato fin troppo accondiscendente verso il Senatùr e Calderoli, autore di un durissimo attacco contro i «maroniti», definiti «quattro sfigatelli». Bobo sul palco aveva abbracciato l’altro Roberto senza difendere i suoi. Una mossa anticipatrice del voto di ieri. Maroni però non ha lasciato la partita: ha valutato che non fosse il momento per dare la spallata. E, forse, che la situazione è talmente precaria che potrebbe precipitare da un momento all’altro (anche ieri tonfo delle Borse con nuovo record negativo della differenza con i bund) senza bisogno di apparire come i giustizieri di un governo moribondo. D’altra parte, anche Bossi (come aveva fatto sul Monviso) si è mostrato incerto sulla tenuta dell’esecutivo: «Voto nel 2013? Vedremo».
L’ultima incrinatura nella maggioranza è l’assenza di Tremonti dall’aula di Montecitorio. Era in America per una riunione del Fondo monetario internazionale.
La plateale presa di distacco ha infastidito Berlusconi, tant’è che quando i giornalisti gli hanno chiesto un commento, ha chiesto «un’altra domanda». Lo stesso Milanese si sarebbe detto «nauseato». Molti deputati del centrodestra si sono lamentati per aver salvato l’ex collaboratore di un ministro-scaricabarile. Così il già lungo elenco di lamentele interne verso il numero uno dell’Economia si è arricchito di un ultimo, velenoso capitolo.