La giornata di Giulio Tremonti è cominciata all’aeroporto di Fiumicino, dove era atterrato dopo il volo di rientro da Washington, con un casuale faccia a faccia con Francesco Rutelli in attesa di ripartire per Milano. «Non è che incontrare Rutelli di prima mattina ti tira su il morale», ha commentato il ministro più tardi. È proseguita con un vertice mattutino dell’Aspen Institute, un trust di cervelli impegnato a discutere di «strumenti per l’innovazione e l’occupazione giovanile». Ed è continuata nel pomeriggio a via Bellerio, sede della Lega Nord, chiamato a rapporto dallo stato maggiore del Carroccio: Bossi, Maroni, Giorgetti e Cota.
Insomma, tutti appuntamenti cui il governo e il Pdl sono rimasti estranei. Il ministro dell’Economia ha fatto sfoggio di sicurezza, ha ribadito il merito di «aver messo in sicurezza i conti». Ma il faccia a faccia con il premier e i colleghi dell’esecutivo, oltre che con i compagni di partito, è rinviato.
Lo strappo del viaggio a Washington nel giorno in cui la Camera votava sull’onorevole Marco Milanese, suo braccio destro fino a poche settimane fa, non è ancora ricucito. Come dimostrano le mancate smentite ai durissimi giudizi su Tremonti che Silvio Berlusconi avrebbe pronunciato con alcuni collaboratori. Ed è stato Il Giornale, non Il Fatto o l’Unità, a ribattezzare Giulio «il coniglio dei ministri» per essersi dileguato nel momento del bisogno.
Il fuoco concentrico sul titolare di via XX Settembre non è destinato a placarsi in fretta. Al di là della questione caratteriale, il motivo è semplice e riguarda le prossime decisioni da prendere in materia di sviluppo e crescita. Liberalizzazioni, semplificazioni, vendite del patrimonio statale, rilancio delle grandi opere: misure che sindacati, imprenditori grandi e piccoli, artigiani, lavoratori chiedono in forze. Ma sono provvedimenti che il governo deve prendere a costo zero, cioè senza spendere oppure rastrellando altro denaro presso i contribuenti.
E qui si riapre la ridda di ipotesi: condoni fiscali o edilizi, ulteriori tagli alle pensioni, patrimoniali magari mascherate sotto forma di rivalutazione delle rendite catastali che comunque fanno salve le prime case e colpiscono il resto.
Ma una seconda partita, ancora più spinosa, deve essere ancora giocata all’interno della maggioranza. È su questa principalmente che deve essere trovato un accordo nel governo entro i prossimi 10-15 giorni: si tratta di come ripartire il taglio di sei miliardi di euro ai ministeri previsto dall’ultima manovra. La somma è notevole e il suo apporto al saldo complessivo è indispensabile.
Questa sforbiciata si va ad aggiungere agli altri sacrifici degli ultimi anni. Difficile che qualche dicastero possa sfuggire alla scure tremontiana: consulenze, sedi, missioni, dotazioni. Presto dunque riprenderà il braccio di ferro tra i ministri, uno spettacolo cui siamo tristemente abituati ogni autunno. E le schermaglie di questi giorni ne sono la stucchevole anticipazione.