L’altro giorno, quando venne presentata, l’ennesima – e, a quanto pare, davvero ultima – versione della mega-manovra anti-deficit fu accompagnata da un brusco calo a Piazza Affari. Ieri la stessa manovra è stata approvata da un ramo del Parlamento con un voto di fiducia, ma la Borsa invece che tracollare nuovamente ha fatto un balzo all’insù. Il che dovrebbe bastare a confermare quant’è forte la speculazione e quanto poco incida la politica sull’andamento dei titoli.

E purtroppo un salto di qualità ha compiuto anche la politica della contestazione. Dopo lo sciopero della Cgil e i boicottaggi ai corridori del Giro della Padania, ieri la protesta violenta si è trasferita a Roma, davanti ai palazzi delle istituzioni. Sono stati i Cobas ad alimentare la tensione all’esterno di Palazzo Madama, l’intervento delle forze dell’ordine ha provocato scontri con qualche ferito e contuso. Avvisaglie di un nuovo autunno caldo mentre la situazione richiederebbe sangue freddo.

Per settimane il governo ha autorizzato le ipotesi più disparate in materia di tagli. Scure sui ricchi. No, sui pensionati. Macché, toccherà alle province. Si dimezzano i parlamentari. Le manette agli evasori. La berlina per i falsi invalidi. Via la privacy dalla denuncia dei redditi. Un vero campionario di misure anti-crisi che tuttavia presentavano controindicazioni: o davano un gettito aleatorio, oppure scontentavano qualche categoria di italiani.

Alla fine il governo ha optato per l’intervento fiscale che colpisce tutti, indistintamente: l’aumento dell’Iva. E poi un ritocco all’età pensionabile, una piccola stretta sui furbi delle esenzioni, una mini-stangata ai Paperoni italici. Nessuno resta escluso da questa ondata di sacrifici. Nemmeno la “casta” dei politici alla quale saranno sottratte un po’ di poltrone. Il popolo, la gente, è stanca ma sembra capire la delicatezza del momento e si prepara a stringere un altro buco di cinghia. Le proteste di questi giorni hanno perciò un clamore inversamente proporzionale ai numeri di chi scende in piazza a manifestare in modi non ortodossi.

La maggioranza non sta uscendo bene da questa difficile fase: la leadership di Berlusconi è ondivaga e appannata, Tremonti e Bossi non brillano per lungimiranza, le mosse del governo sembrano obbedire sempre più alle logiche decise nelle centrali dell’alta finanza europea. Ma l’opposizione si sta comportando, se possibile, ancora peggio. Il Pd, lacerato dalla questione morale e dal caso Penati, si sfilaccia anche sulla strategia pro o contro la Cgil. I centristi riconoscono la gravità della situazione ma continuano a votare no. La sinistra radicale sceglie i tafferugli di piazza. Di Pietro ripete come un mantra “referendum e dimissioni”. Nessuno che pensi a costruire un’alternativa credibile al Cavaliere e ai suoi.