Alberto Bombassei è a capo di Brembo, un’azienda quotata in Borsa, fornitrice di freni ad alta tecnologia per la Ferrari (Fiat) ma non solo: anche per la Jaguar o per le moto Ducati. Giorgio Squinzi pilota la Mapei, un’altra multinazionale tascabile, ma rigorosamente non quotata, fornitrice di materiali ad alta tecnologia per l’edilizia, dal cemento alle vernici. Simbolo del primo è il parco industriale del Kilometro rosso, ben visibile a tutti coloro che transitano sull’autostrada fra Milano e Bergamo. Il secondo è invece un protagonista della cultura pop e del made in Italy anche in quanto sponsor-praticante di ciclismo: il vincitore del giro d’Italia Ivan Basso e il campione del mondo Paolo Bettini hanno corso sotto le insegne Mapei.

Sia Bombassei che Squinzi sono imprenditori di stretta seconda generazione (hanno preso le consegne di piccole aziende fondate dai rispettivi padri) e sono radicati nella Pianura padana, ma in quanto tali sono cittadini-businessmen “glocali”. Entrambi sono veterani in Confindustria: il primo (ex leader di Federmeccanica) come vicepresidente di Luca di Montezemolo e poi di Emma Marcegaglia alle relazioni sindacali. Squinzi è invece a capo della Federchimica, l’altro “pilastro” storico di un’industria italiana che non è più grande quanto a dimensione. E se la metalmeccanica ha perduto la Fiat (che non è più neppure associata Confindustria), la chimica non è più certo quella gloriosa della Montecatini o della Snia.

Da oggi Bombassei e Squinzi – in ordine alfabetico – sono ufficialmente duellanti per la successione della Marcegaglia in Viale dell’Astronomia, ma il vincitore non uscirà prima di due mesi dal setaccio delle “primarie” condotte riservatamente da tre saggi. Il gossip parla di un sostanziale “testa a testa” ai blocchi di partenza, forse con un leggero vantaggio per Squinzi, che godrebbe dell’appoggio del presidente uscente. Bombassei, dal canto suo, sarebbe sospinto dai “past president” Montezemolo e Abete.

Ma sfogliare i petali delle associazioni territoriali e delle federazioni di categoria “grandi elettrici” è probabilmente meno interessante di capire su “quale Confindustria per quale Azienda-Italia” si stanno misurando due contendenti sulla carta molto simili. Anche quando Bombassei ha apparentemente scoperto le sue carte con un “manifesto”, è stato notato che avrebbe potuto essere per gran parte sottoscritto anche da Squinzi, per ora silenzioso: focus sul manifatturiero e sulle Pmi; gioco di squadra pubblico-privato sull’internazionalizzazione; necessità di rivedere la contrattazione come “scatola di attrezzi” meno rigida per imprese e addetti; riforma organizzativa della Confindustria nel senso di una maggiore agilità istituzionale e di un taglio dei costi.

Ma quali sono le “declinazioni” – per ora ancora coperte – che distingueranno i due candidati? Certo non quella delle simpatie politiche, ormai in via di superamento sullo stesso scacchiere parlamentare: Squinzi è accreditato di maggiore sintonia con il centrodestra, mentre Bombassei guarderebbe più a centrosinistra. Ma lo schema è giù rotto sul terreno degli orientamenti sindacali. Bombassei ha oscillato fra l’approccio classico della grande industria (come la Fiat tradizionale, fino a quella di Montezemolo), sempre preoccupata di non rompere con la Cgil e di non seppellire la concertazione, e gli strappi della Fiat di Marchionne, uscito dall’Italia e dalla Confindustria per imporre da fuori svolte come quella di Pomigliano. Squinzi ha invece tenuto una linea più uniforme, certamente vicina alla necessità di rinnovare a fondo la logica e gli strumenti delle relazioni sindacali nel senso di una maggiore libertà d’impresa, ma facendo attenzione a non porre il mondo dell’industria in contrapposizione frontale o addirittura in dinamiche di scontro sociale.

Lo Squinzi che non ha mai voluto aprire il suo capitale in Borsa, assumendosi sempre direttamente i rischi e le responsabilità della crescita, è lo stesso imprenditore che rifiuta il breve periodo come orizzonte di accumulo e utilizzo del “capitale umano” in azienda. Il “patron” della Mapei, d’altronde, non può certo essere annoverato tra gli amanti delle situazioni “consociative”: gli imprenditori, i sindacati, le istituzioni, le banche, gli altri player dell’economia devono anzitutto recitare in modo trasparente la loro parte distinta. È proprio su questo terreno, d’altra parte, che a Bombassei viene attribuita una possibile “chance”: il presunto appoggio dei grandi gruppi pubblici (Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Fs). Questi ultimi sono presenti in Confindustria con uno status limitato rispetto alla loro dimensione, anche tenuto conto che – a parte Finmeccanica – sono tutte “utilities”. Tuttavia la loro voce in capitolo non è marginale, oltre al fatto che rispondono – da ultimo – a un solo azionista di controllo: il Tesoro, che esercita i suoi poteri di governance quasi sempre di concerto con le deleghe oggi riunite presso il super-ministro Corrado Passera. Ma sarebbe sbagliato credere che Squinzi goda presso Monti e Passera di una considerazione minore di quella goduta con Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Esattamente come non è affatto verificata, anzi, l’equazione che vedrebbe Bombassei leggermente più in sintonia con il nuovo ministro del Welfare, Elsa Fornero, rispetto al predecessore Maurizio Sacconi.

E sul campo, attualissimo, delle liberalizzazioni? Non sembri un artificio dialettico attendersi che i candidati presidenti di Confindustria si misurino anzitutto in casa loro: sullo snellimento di un’organizzazione che deve lavorare per le imprese associate e non per l’establishment della stessa Confindustria. Che continuerà a essere basata a Roma, ma deve evolvere rispetto al ruolo di parte integrante del sistema istituzionale della capitale. Che deve produrre “lobbying”, cioè risultati per gli associati sui vari fronti caldi (fisco, costo del lavoro, costo del credito e del capitale, regulation dei mercati interni e globali, ecc.), e non “politica”. Perché anche quello della rappresentanza degli interessi, ormai, è un mercato, che la crisi sta ristrutturando in modo pressante.