Nella Lega le correnti interne sono proibite per statuto dal 1990. Negli anni in cui la Dc si frantumava, il Carroccio nascente voleva marcare una diversità radicale dalle liturgie delle tessere, delle mediazioni di Roma “ladrona”, degli inciuci (anche se allora il termine romanesco non era ancora in voga). Ed ecco che, oltre vent’anni dopo, ricca e pasciuta di potere politico e denaro investito all’estero, anche la Lega vacilla sotto il rischio di dividersi in fazioni. Spaccatura o «federalismo interno?».
Roberto Maroni, dopo la minaccia di bavaglio ritirata però precipitosamente, in pochi giorni ha radunato a Varese 1.500 sostenitori osannanti, l’avanguardia di quei «barbari sognanti» di irredentista memoria che vogliono imprimere una svolta alla gestione del partito. Ora risponde Marco Reguzzoni, che raccoglierà a Busto Arsizio i fedelissimi. Lo farà fra un mese, evidentemente le sue capacità organizzative non reggono il confronto con quelle dell’ex ministro dell’Interno. Nessuno ammette di volere coagulare una corrente, ma la spinta di Maroni verso i congressi (evento senza precedenti in quello che è il più vecchio partito dell’attuale panorama politico) implica una conta interna che magari non insidierà il leader Bossi, ma di sicuro ridisegnerà la geografia del sottobosco padano.
I movimenti vanno visti soprattutto nella prospettiva delle elezioni amministrative di maggio, prima che nell’ottica della successione al Senatùr. È la prima occasione in cui il Carroccio potrà valutare il consenso che raccoglie il passaggio all’opposizione; appuntamento significativo perché si vota in vari capoluoghi del Nord tra cui spiccano Genova e Verona.
Qui, in terra veneta, è alla prova la coesione sia della Lega al suo interno, sia della vecchia maggioranza di governo con il Pdl. Sfidando apertamente la dirigenza nazionale e regionale, Tosi vuole correre con una lista a suo nome come cinque anni fa accanto a quella ufficiale, il che toglierà consenso e potere ai fedelissimi di Bossi che a Verona contano nomi come Federico Bricolo e Francesca Martini.
Ma il sindaco intende anche scaricare il Pdl, il cui coordinatore veneto è un ex-An, cioè l’ex sottosegretario Alberto Giorgetti. «Sarebbe assurdo allearci con un partito che sostiene Monti», ha detto Maroni in un affollatissimo comizio scaligero pro-Tosi, senza tuttavia spiegare perché non è assurdo continuare a governare assieme al Pdl nelle regioni Veneto, Lombardia e Piemonte, oltre che in decine di località del Nord.
Nonostante l’unanimismo di facciata dimostrato dieci giorni fa alla manifestazione di Milano, il partito di Bossi si avvia verso una prova di forza senza precedenti. Maroni punta a ripetere l’esperienza della Csu bavarese, cioè diventare il più forte partito del Nord a scapito del Pdl, capace di pesare su Roma in virtù del suo fortissimo radicamento territoriale e non di accordi e alleanze vari. Il “cerchio” bossiano, invece, non rinuncia a mantenere il legame con i berlusconiani, convinto che da sola la Lega non può nutrire velleità egemoniche nemmeno in Padania.
Due linee difficilmente conciliabili. Per questo il braccio di ferro sarà inevitabile. E la sfida fra Varese e Busto Arsizio ne rappresenta un assaggio.