Mentre il centrosinistra si lancia nell’ultima settimana di contesa in vista delle primarie e il centro si rivitalizza con la convention di Luca di Montezemolo, il centrodestra continua a dibattersi in una fase confusa. L’indicazione del 10 marzo come data per le elezioni regionali ed eventuale «election day» anche per le politiche è indubbiamente un successo per il Pdl, che aveva combattuto la prima scelta di febbraio con due argomenti: economico (si risparmiano 100 milioni di euro con il voto unico) e politico (il doppio appuntamento avrebbe potuto favorire il Pd ma il Pdl, che fa parte della maggioranza al pari dei democratici, non voleva subire trattamenti di sfavore).

Questo risultato apre tuttavia nuovi scenari. Votare a marzo per le politiche significa cancellare le primarie come le intendeva il segretario Angelino Alfano, cioè all’americana, con un tour di almeno due mesi, un confronto aperto e profondo, necessario soprattutto per il consistente numero dei partecipanti: per ora le candidature ufficiali sono quella dello stesso Alfano, di Daniela Santanché, Giancarlo Galan, Michaela Biancofiore, Guido Crosetto, Alessandro Cattaneo (sindaco «rottamatore» di Pavia). Oggi si dovrebbero aggiungere l’imprenditore Giampiero Samorì, l’outsider che nel fine settimana ha radunato un folto gruppo di seguaci a Chianciano Terme, e Giorgia Meloni in rappresentanza della destra di Storace e della rete dei «patrioti», e forse l’avvocato Alfonso Luigi Marra, più famoso per le vicende sentimental-finanziarie con Sara Tommasi che per l’attività professionale e politica.

Troppa agitazione per una consultazione che è improvvisamente diventata ad altissimo rischio. Berlusconi non ha mai digerito le primarie volute da Alfano e il probabile anticipo delle elezioni politiche gli dà una mano. Il confronto con le primarie del Pd potrebbe essere impietoso: i democratici stanno trasformando questo strumento in una dimostrazione di vitalità e di confronto aperto, mentre nel Pdl potrebbero assumere i toni di una drammatica resa dei conti pro o contro Alfano.

Per ora, comunque, il cammino verso le primarie non può essere interrotto. Non è sicuro che le elezioni politiche si celebreranno il 10 marzo: Napolitano ha fatto capire che l’anticipo è legato all’approvazione della nuova legge elettorale, sulla quale i partiti sono ancora lontani, oltre che al via libera (abbastanza scontato) per la legge di stabilità. Sulla data del voto il capo dello Stato non transigerà: deciderà lui, e stiano attenti i partiti a non forzargli troppo la mano. «Non taglio soltanto nastri», ha detto l’altro giorno.

Gli altri due nodi da sciogliere, assieme al groviglio delle primarie, sono i nomi e le eventuali alleanze per Lombardia e Lazio. Berlusconi conferma di voler privilegiare il rapporto con la Lega Nord, e quindi consegnare a Roberto Maroni la regione ora feudo di Roberto Formigoni in cambio di una rinnovata intesa per le politiche: l’accordo con le camicie verdi è indispensabile se il sistema elettorale nazionale non sarà modificato e si tornerà a votare con una legge che premia le coalizioni. Il Cavaliere è sempre più freddo con Gabriele Albertini, il candidato lanciato da Formigoni, il quale ha promesso di stracciare la tessera del Pdl in caso di alleanza con il Carroccio perché intende mantenere un profilo «civico». Ancora meno definita la situazione per la regione Lazio, dove pure la crisi si è aperta da più lungo tempo e il Pd ha già schierato un personaggio come Nicola Zingaretti.

Oggi pomeriggio il tavolo regionale lombardo del Pdl coordinato da Mario Mantovani deciderà la proposta da sottoporre ad Alfano per il dopo-Formigoni. Si parla di primarie anche in questo caso, ma di coalizione, cioè assieme alla Lega Nord. Un confronto a due, tra un pidiellino e un padano, cioè Maroni: chi vince sarà il candidato presidente, chi perde gli farebbe da vice. Ma il Pdl chi lancerà nella contesa? Per ora nel puzzle del centrodestra sono davvero pochi i pezzi messi al posto giusto.