Anche i grigi europolitici sono capaci ogni tanto di fare qualche sorpresa. Ieri lo scherzetto è stato giocato a Silvio Berlusconi. Arrivato a Bruxelles per il vertice del Partito popolare europeo, l’ex presidente del consiglio si è trovato inaspettatamente a faccia a faccia con il suo successore. Invitato in gran segreto dal presidente del Ppe, Wilfried Martens. Il significato era chiaro: noi puntiamo su di lui.
Ingerenze indebite di politici stranieri sulle scelte italiane? Il dibattito è aperto. Ma un dato va registrato: negli anni della «traversata del deserto», cioè nel quinquennio dei tre premier ulivisti (Prodi, D’Alema, Amato), uno dei maggiori sostegni a Berlusconi venne proprio dal Ppe che accolse gli eurodeputati di Forza Italia nel gruppo parlamentare. Era un sigillo di garanzia sull’affidabilità di Berlusconi che infatti nel 2001 avrebbe vinto le elezioni anche grazie a quell’avallo.
Lo stesso Cavaliere auspica che Monti si candidi alla guida dei moderati, che poi sarebbero il Pdl (o i gruppi nei quali si dovrebbe sciogliere) e i centristi dell’Udc, anch’essi membri a pieno diritto del Ppe. Dunque è sempre ai popolari europei che Berlusconi dice di ispirarsi. Quei popolari che non hanno fatto mistero di preferire Monti.
Nel suo inatteso intervento il Professore non si è sbottonato sul futuro. Ma la presenza alle assise del Ppe è molto significativa: un premier «tecnico» che partecipa a un vertice politico è già una mezza scelta di campo. Il Ppe è la «famiglia politica» di Monti. E se l’appuntamento di Bruxelles si è trasformato in una specie di «processo all’Italia» per cercare di capire la situazione alla vigilia di un voto inaspettatamente ravvicinato, Monti non è stato reticente a indicarne le responsabilità. Ha detto apertamente di avere deciso di dimettersi dopo le dichiarazioni alla Camera di Angelino Alfano. Dunque, la colpa dell’accelerata è del Pdl, il sicario è il suo segretario e il mandante è Berlusconi. Lo stesso che oggi chiede a Monti di candidarsi a premier. Un corto circuito evidente.
Dietro la cordialità, il Cavaliere è stato accolto con gelo a Bruxelles. Angela Merkel non gli ha rivolto la parola, mentre il capogruppo del Ppe Joseph Daul ha negato di essere stato sobillato da Mario Mauro, capo della delegazione italiana (come aveva insinuato Berlusconi). Basta tatticismi elettorali, è stato detto al leader del centrodestra italiano, vogliamo sapere chiaramente quali sono le reali intenzioni del Pdl.
Benché non abbia gradito la presenza a sorpresa di Monti, Berlusconi ha ripetuto di essere pronto a farsi da parte se il premier si candiderà alla testa di tutti i moderati per evitare di consegnare l’Italia a una maggioranza Bersani-Vendola, che nelle urne potrebbe non raggiungere nemmeno il 40 %. A questo tasto il Ppe è sensibile: una svolta a sinistra viene scongiurata almeno quanto l’eventualità di un nuovo governo Berlusconi. E se Monti rifiutasse il sostegno del Pdl accettando soltanto quello dei centristi, la vittoria della coalizione Pd-Sel sarebbe più probabile.

Alla fine il Cavaliere ha incassato discretamente il colpo: ha rilanciato la candidatura Monti nel luogo che proprio quello voleva sentirsi dire, e allo stesso tempo ha spiazzato i «montiani» pidiellini che domenica si radunano a Roma con il proposito di alzare le barricate contro la sesta autocandidatura del loro leader. Le cui reali intenzioni restano ancora un mistero.