Qualcuno l’ha battezzata la «strana coppia». Ma che cosa c’è di così strano nell’avvicinamento pre-elettorale tra Roberto Maroni e Giulio Tremonti? Sono due ex ministri, e che ministri, di vari governi Berlusconi. Sono lontani i tempi in cui Giulio aveva cominciato a tagliare i trasferimenti ai sindaci, tant’è vero che oggi, secondo Maroni, i primi cittadini rimpiangono l’ex titolare dell’Economia. I legami tra la Lega Nord (soprattutto Bossi) e Tremonti sono noti da tempo. E l’ex superministro economico è stato l’artefice e il sostenitore più convinto – Lega a parte – del federalismo fiscale. Che il tecnogoverno Monti ha accantonato appena insediatosi un anno fa.
Le strategie politiche dei due sono tornate ad affiancarsi recentemente, soprattutto dopo che Tremonti ha lanciato (erano i primi di ottobre) la sua lista «3L», cioè Lista lavoro e libertà: una formazione che programmaticamente esclude di occuparsi di questioni come alleanze, schieramenti, primarie, leadership, ma si propone di trattare soltanto temi di cui parla la gente in chiave anti-Monti. In più, Roberto da Varese e Giulio da Sondrio sono accomunati dalla medesima origine insubrica.
I due hanno ufficializzato la «liaison» ieri mattina con una conferenza stampa a Milano. Tremonti appoggerà Maroni nella corsa verso la regione Lombardia mentre il leader leghista ha fatto intendere che potrebbe sostenere un’eventuale candidatura tremontiana come premier. Maroni ha sottoscritto il «manifesto» antimontiano della lista 3L: troppe tasse, troppa paura, nessuna crescita, pochissima stabilità con l’aggiunta del «bluff» sulla discesa dello spread. Sono stato ministro per tre anni e mezzo, ha sostanzialmente detto Tremonti, e nei primi tre anni il famigerato spread non ha superato quota 150.
Se l’alleanza tra i due ex ministri dovesse essere valutata soltanto in base al peso dei voti, Maroni non avrebbe di che rallegrarsi troppo. Tremonti non è mai stato un campione alle urne, non ha correnti, capi e capetti da controllare e accontentare, squadre di militanti da mobilitare. Quello è patrimonio leghista. La dote che Giulio porta alla Lega è composta da altri elementi, e sbaglia chi vede in questa mossa soltanto l’approdo di un «senza patria».
In primo luogo c’è la formalizzazione del distacco dal Pdl. Un conto è presentare una lista in cerca di apparentamenti, un altro è schierarla apertamente con un altro partito, la Lega Nord, che si pone in contrapposizione diretta con il Popolo della libertà. Tremonti porta un contributo di esperienza e un approccio ai temi economici e finanziari che progressivamente avevano allentato il suo legame con Silvio Berlusconi. In più offre al Carroccio la possibilità di dare un respiro più ampio all’ancoraggio al Nord che resta il principale obiettivo della nuova strategia maroniana.

Ma la strana coppia Tremonti-Maroni è anche il sigillo dell’«appeal» che la Lega esercita su un certo settore del Pdl, quello più ostile all’esecutivo dei tecnici, verso il quale si sta progressivamente spostando anche il Cavaliere. Gli osservatori si attendevano di vedere ufficializzato il tandem Maroni-Berlusconi in vista del dopo-Formigoni. Invece sulla bici a due posti dietro a Bobo è salito Giulio. Primo e unico, oppure primo di una lunga serie? A prima vista, sembra proprio un guanto di sfida lanciato al Pdl di Alfano. Non è escluso rappresenti una manovra di avvicinamento più ampia, che potrebbe addirittura culminare nello strappo di Berlusconi dalla sua creatura.