Davanti alla platea dei giovani industriali di Santa Margherita Ligure, Angelino Alfano ed Enrico Letta hanno preso un impegno solenne: nuova legge elettorale entro tre settimane. Jacopo Morelli, leader dei baby-confindustriali, li attende al varco il 19 luglio alle assise dell’associazione. La promessa è impegnativa, anche perché del grande libro della riforma finora esistono soltanto i titoli dei capitoli, non i contenuti. E cioè, cancellare il porcellum, ripristinare il voto di preferenza, ritornare a una forma di proporzionale temperato, indicazione del candidato premier tramite le primarie. Tra Pd e Pdl i contatti sono in corso ma nulla trapela. Il più preoccupato è Pierferdinando Casini, anch’egli sul palco di Santa Margherita, timoroso di finire schiacciato dall’accordo tra le forze maggiori.

I margini di incertezza tuttavia sono consistenti. Il Pdl ha lanciato una proposta di riforma semipresidenzialista sul modello francese con il doppio turno che non ha entusiasmato né i centristi né la sinistra. Difficile che bastino tre settimane per condurre in porto una simile operazione. Silvio Berlusconi, per fare un solo nome, è scettico. Egli lascia che il delfino Alfano faccia le sue mosse, ma dietro le quinte opera in senso diverso.

La prospettiva del Cavaliere parte dal presupposto che il porcellum non verrà modificato perché i partiti non hanno la forza di accordarsi su un nuovo sistema, e neppure il governo dei tecnici può venire in loro soccorso. Con la legge elettorale in vigore, l’ex premier sta studiando la formula delle liste civiche: una federazione di partiti e partitini, portatore ognuno di interessi specifici e limitati e in grado di raccogliere i relativi consensi, pochi ma sicuri. Da Bertolaso a Montezemolo agli animalisti di Michela Brambilla, ecco un nuovo modello politico: non più il grande partito (com’è stata la Dc e per certi versi anche Forza Italia) che rappresenta e media tra una molteplicità di interessi, ma tanti rappresentanti diversi delle nuove istanze. Un ritorno delle identità, delle specificità, che si sono sbiadite in quello strano pentolone chiamato Pdl.

Lo schema non prevede primarie, ma che ognuno faccia la sua corsa con il fiato e la forza che ha, perché alla fine la lista che avrà più voti avrà anche titolo per esprimere il premier. È un modello che si adegua bene alla legge in vigore, la quale prevede un premio di maggioranza non al partito ma alla coalizione. È un tentativo di riportare all’ovile i voti in libera uscita, soprattutto il direzione di Beppe Grillo.

Dunque, in questa fase cruciale, in cui il governo tecnico mostra sempre più i suoi limiti e ci si avvicina al semestre bianco in cui il capo dello stato non potrà sciogliere le Camere se non per la scadenza naturale, ecco che nel Pdl terremotato dal recente voto amministrativo prendono forma due ipotesi di riforme diametralmente opposte, una incarnata da Berlusconi e l’altra da Alfano. In entrambe sono presenti elementi di novità. Ma esse dividono ciò che resta del Pdl. Ed entrambe sembrano prive di quello slancio ideale, di quella visione dell’Italia del domani, che dovrebbero costituire le fondamenta di un partito politico in questa fase di crisi.