Il «quid» di Angelino Alfano, messo lungamente in dubbio da Silvio Berlusconi (e di conseguenza da larga parte dell’elettorato Pdl) è emerso ieri in un’intervista al Corriere della Sera. È un «quid» moderato, com’è di moda di questi tempi: lo stesso segretario pidiellino ammette di essere una «persona leale» che non coltiva «ambizioni sfrenate e affrettate» e che per lui «la politica non è solo “casta” e ricerca senza limiti dell’affermazione personale». Alfano non batte i pugni sul tavolo e mantiene un riguardoso ossequio verso il Cavaliere. Dalle parti del centrodestra alcune cose, finalmente, cominciano a chiarirsi. Ma soltanto alcune.
La principale è l’impronta nettamente «bipolare» che il Pdl darà all’imminente campagna elettorale: Alfano prevede che il voto sarà fra sei mesi, cioè non a novembre, bensì tra febbraio e marzo. Niente larghe intese, messa al bando l’ipotesi di giocare per il pareggio: «Noi corriamo per vincere e per governare», dice. Posizione speculare a quella del Pd: il consenso si conquista sulle differenze, con la contrapposizione, «nella distinzione delle squadre e dei programmi», non con i compromessi a priori.
Questo «giocare per la vittoria» e non per il pareggio è al tempo stesso una notizia, viste le incertezze pidielline di questi mesi, ma anche una «non notizia», perché Alfano ha semplicemente ribadito una legge elementare della politica. Le campagne elettorali si vincono sconfiggendo l’avversario, non scendendo a patti. È chiaro che Alfano parla soprattutto al suo elettorato, tenta di galvanizzarlo e prepararlo alla battaglia. Agita la bandiera di un «piano contro la rassegnazione». Sostiene che non ci sarà un Monti bis, inteso come formula Pdl-Pd-Udc, ma anche come persona, perché il premier non dev’essere «tirato per la giacca».
La parentesi «tecnica» va archiviata perché tra centrodestra e centrosinistra c’è un abisso: «loro» propongono «una tradizionale politica “tassa e spendi”, con tasse alte e spesa alta» come dimostra il recente dibattito a sinistra sulla patrimoniale; «noi» invece, cioè il Pdl, «privilegia un’impostazione liberale di attacco a debito, di riduzione della spesa e delle tasse». «Un’alternativa secca, che gli italiani comprenderanno bene», taglia corto Alfano, forte di due provvedimenti suggeriti dal Pdl e fatti propri dal governo Monti: la possibilità per le imprese di pagare l’Iva solo al momento dell’incasso e la compensazione dei crediti verso la pubblica amministrazione.
Ma le dichiarazioni nette finiscono qui. Poi arrivano quelle più sfumate e non riguardano questioni secondarie. Berlusconi è un leader che «non punta al pareggio», la sua sarebbe «la migliore scelta» per la premiership, tuttavia «18 anni di vita condotta in prima linea» tra riconoscimenti popolari e attacchi dagli avversari «possono creare stanchezza». Significa che il nodo-Berlusconi non è ancora sciolto, e che non lo scioglierà il povero Alfano.
Prudenza anche sulla legge elettorale: si farà presto (e in questo segue la posizione di Bersani) ma il segretario Pdl non anticipa come. E su Casini: «Non posso credere che si adatterà alla politica “tasse e Cgil” della sinistra». Ma si riavvicinerà all’ovile berlusconiano? Questo Alfano non lo dice. «Non coltiviamo piccoli progetti», è il suo appello, rivolto soprattutto alla Lega. Su leadership e alleanze, dunque, il segretario pidiellino prende altro tempo. Lunga è la strada per ricostruire una proposta politica credibile e vincente.