Grande mobilitazione mediatica del governo Monti in una domenica resa rovente, oltre che dalla calura, anche dalla pressione internazionale sul nostro esecutivo. Il Corriere intervista il sottosegretario Catricalà che garantisce «possiamo farcela da soli», senza aiuti europei. Repubblica ribatte con il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, il quale conferma che «per ora non abbiamo bisogno del Fondo», ma precisa: «Dobbiamo ritrovare fiducia e Monti deve accelerare sulle riforme». La Stampa regge il confronto con il ministro della real casa, la torinese Elsa Fornero, che ribadisce una cosa sacrosanta: il rigore non basta.
Ma l’asso pigliatutto era nella manica di un giornale tedesco, lo Spiegel, che ha fatto parlare il premier Mario Monti, preoccupato dei sentimenti «antitedeschi» crescenti in Italia. Sembrava di sentire l’eco del famoso poema risorgimentale «Sant’Ambrogio» di Giuseppe Giusti, che si lamentava con una imprecisata «Vostra Eccellenza» che gli stava «in cagnesco» (la cancelliera Merkel?) e – appunto – «mi gabella per anti-tedesco perché metto le birbe alla berlina», cioè si prendeva gioco dei tiranni.
Le loro eccellenze continuano a guardare in cagnesco l’Italia perché, nonostante Monti, persistono a non fidarsi. Le riforme arrivano con il contagocce. I “compiti a casa”, anche quelli fatti dal Professore bocconiano, non bastano. Giusto un anno fa, il 5 agosto 2011, il Consiglio direttivo della Bce inviò la dura lettera a Silvio Berlusconi elencando i provvedimenti che avrebbe dovuto adottare per disincagliare il transatlantico Italia dalle secche della crisi: ebbene, a ben guardare, nemmeno il governo dei tecnici è stato ligio nell’attuare in pieno i diktat di Francoforte.
Impegni come liberalizzazioni, privatizzazioni, prevalenza dei contratti aziendali su quelli nazionali, spinta alla crescita, sono rimasti scritti sugli interminabili papiri delle buone intenzioni.
Ecco dunque l’attivismo sui giornali del governo: i compiti fatti bene non sono sufficienti, e certi compiti forse sono ineseguibili perché scritti male (succede: è accaduto, per esempio, per i recenti test abilitanti per i precari della scuola). Occorre allora un’opera vasta di persuasione, un lavorio ai fianchi delle controparti europee perché diano credito (un bene sempre più difficile da ottenere, non solo da parte delle banche) agli sforzi italiani.
Ma il messaggio è rivolto anche all’interno dei confini perché, in fondo, la situazione non è troppo cambiata dal Risorgimento pervaso, come scriveva il Giusti, da «quest’odio, che mai non avvicina il popolo lombardo all’alemanno». Non è il popolo, tuttavia, il destinatario dei messaggi trasversali di Monti, ma la politica.
Nell’ennesima intervista domenicale, stavolta a l’Unità, Pierluigi Bersani ha detto di non voler proseguire con un governo di «larghe intese», che non rappresenta un viatico per le fatiche di Monti. Tutt’intorno è caos. Casini corre da solo. Vendola cerca di ricostituire il Pci riportando i resti di Rifondazione nell’ovile del Pd. Di Pietro rischia la scissione nella rincorsa a Grillo. Fini tenta di aggrapparsi a Di Pietro. Il Pdl ondeggia nel dubbio se Berlusconi si ricandiderà davvero oppure no.
È a questi personaggi, «in tutt’altre faccende affaccendati», che si rivolge Monti. Non basta fare i compiti imposti dall’Europa per uscire dalla crisi, ma non basta nemmeno votare fiducie a raffica, impalati come i soldati beffeggiati dal Giusti, per dire che i partiti stanno facendo il bene del Paese.