Pierferdinando Casini ha ufficialmente arruolato Mario Monti nel suo nuovo partito centrista assieme a Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria e avversaria di Luca di Montezemolo il quale invece, fino all’altro giorno, sembrava l’asso nella manica dell’Udc. «Per noi dopo Monti c’è Monti», ha detto il leader centrista chiudendo la festa del partito a Chianciano Terme prima di lanciare, assieme «ai tanti amici della società civile che sono venuti a questa festa con altri che si aggiungeranno», la proposta di una «lista per l’Italia».

L’«outing» di Casini ha improvvisamente spostato il dibattito politico dal tema delle alleanze e della legge elettorale alla premiership. La risposta più pronta è venuta da Angelino Alfano: se qualcuno vuole Monti di nuovo a Palazzo Chigi «dovrà trovarlo sulla scheda» perché «il sale della democrazia» sta «nella celebrazione delle elezioni e nella consacrazione al governo di chi le ha vinte». Via libera a Monti, dunque, a condizione che rinunci alla sua caratteristica di «tecnico» e finalmente accetti di diventare un politico a tutto tondo. L’investitura del prossimo premier non deve arrivare dai mercati finanziari o dal Quirinale, ma dall’elettorato. Governa chi vince le elezioni. Posizione condivisa da Pierluigi Bersani dalla festa dell’Unità di Reggio Emilia: «Tocca agli italiani decidere chi governerà».

Alfano ha parlato a Cernobbio, a conclusione del seminario Ambrosetti dove Monti è rimasto due giorni. Negli anni scorsi il Bocconiano ne era il «chairman» e portavoce; era lui a tenere le conferenze stampa e a sintetizzare ai giornalisti il contenuto dei lavori che si svolgono a porte chiuse. Villa d’Este è dunque un luogo particolarmente caro al premier. Ed egli ha scelto proprio Cernobbio per rispondere a modo suo a chi lo sta tirando per la giacca. Aprendo l’intervento di ieri, Monti ha ringraziato Alfano: un anno fa non si conoscevano ma «in situazioni che potevano essere difficili ho trovato una persona leale». Poi ha ringraziato Enrico Letta, numero due del Partito democratico, anch’egli tra il pubblico. E parole di elogio sono andate anche a Roberto Maroni, segretario del Carroccio: Monti ha ricordato di avergli offerto di restare al Viminale, proposta rifiutata in ossequio alla disciplina leghista.

Nessun cenno all’Udc che a Chianciano lo acclama premier a vita. Anzi, Monti sottolinea la distanza dai suoi sostenitori più accesi ricordando che nell’estate del 2004 fu proprio l’Udc l’ostacolo che gli impedì di compiere un terzo mandato come commissario europeo. Il Professore teneva moltissimo a quel posto e non ne fece mistero, ma il partito di Casini e Follini impose al premier Berlusconi di designare Rocco Buttiglione (poi sfiduciato dall’Europarlamento). Monti non dimentica. Ripropone oggi quell’episodio di otto anni fa come simbolo di «come cambiano le cose nella politica». 

Il gelo verso le profferte di Casini non potrebbe essere più plateale. L’Udc a Chianciano è apparso un esercito di generali senza truppe che ha ben poco da offrire. Ma soprattutto Monti non vuole togliersi di dosso gli abiti del Professore, del tecnico, del personaggio sopra le parti abituato a essere designato, nominato, cooptato. Potrebbe anche restare a Palazzo Chigi, ma soltanto se dopo le elezioni (cui in ogni caso non parteciperà) i partiti lo implorassero nuovamente di salvare l’Italia. Monti non si misurerà con i comizi, non affronterà gli italiani nelle piazze. Ha già ricevuto la sua inossidabile investitura politica quando il presidente Napolitano l’ha collocato a Palazzo Madama come senatore a vita.

Cambiano le cose in politica, ha detto ieri Monti. Oggi l’Udc lo invoca, domani lo potrebbe scaricare. A queste altalene il Professore vuole sottrarsi. «Mi rifiuto di pensare che in un grande Paese democratico come l’Italia non si possa eleggere un leader che sia in grado di guidare il Paese», ha detto a Cernobbio. Lui conta di garantire «una maggiore penetrazione del sapere e delle competenze nell’attività politica» dal Senato. A meno che non gli si aprano le porte del Quirinale.