È divertente il siparietto che sta andando in scena in questi giorni tra due politici che appaiono speculari: Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Un astro nascente e uno calante, se non altro per questioni anagrafiche. Il giovane che vuole rottamare il vecchio. Il democratico che ambisce a strappare voti nel campo dei liberali, il leader del centrodestra che ribatte arruolando dalla propria parte il più eterodosso tra i «sinistri».
Il sindaco di Firenze ha lanciato l’amo per primo. «Vogliamo venire a prendervi, voi delusi dalle promesse mancate di Silvio Berlusconi», ha detto giovedì a Verona. Un democratico che cerca i voti del Caimano è una mezza eresia, e così è stata accolta la provocazione renziana da buona parte del Pd e da larghissima parte del centrodestra. Pochi hanno apprezzato il coraggio di un piccolo Davide che, con l’incoscienza dei giovani, sfida in campo aperto Golia. Per contro, ieri Berlusconi ha ribattuto dalla crociera del «Giornale» che Renzi porta avanti idee di destra all’interno della sinistra, e gli ha fatto tanti auguri per la corsa alle primarie.
In effetti, la domanda di questi giorni è che cosa ci faccia uno come Renzi nel Pd. È vero che il suo programma resta sul vago, ma le linee di principio sono chiare: riformismo e chiusura con il passato di una sinistra finita. La sua campagna elettorale verso le primarie è agli antipodi di Pierluigi Bersani ma anche di Vendola e Di Pietro: Renzi non vuole la patrimoniale, propone un abbassamento delle tasse, punta a un ridimensionamento della presenza statale nell’economia (ha attaccato duramente l’assistenzialismo pubblico che ha prodotto «mostri» come l’Ilva, l’Alcoa e il Sulcis), assume il merito – bandiera della destra contro l’egualitarismo della sinistra – come uno dei cardini del proprio progetto.
Ma il Partito democratico attuale non dà spazio a questi temi. Il riformismo non è pane per i denti di Bersani, che preferisce scontrarsi con Renzi e accordarsi con i massimalisti di Sel o accattivarsi Cgil e Fiom. Il «Riformista» ha dovuto chiudere e personaggi come Enrico Letta, in questo Pd, hanno una funzione non molto diversa da quella di un pregiato soprammobile. Hanno voglia, Renzi e il suo staff, a ripetere di voler recuperare le origini del Pd veltroniano: la storia di questi anni insegna che il Partito democratico è sostanzialmente il vecchio Ds allargato alla sparuta e pressoché ininfluente pattuglia della Margherita. A sinistra le forze riformiste non hanno mai trovato grande fortuna, come ha capito Rutelli che tra i primi emigrò verso i centristi dell’Udc. Come farà Renzi, in caso di sconfitta alle primarie, a votare Bersani o Vendola, come ha garantito?
Renzi dunque appare un marziano nel Pd. Il che dà buon gioco a Berlusconi di «arruolarlo» nel centrodestra. Le idee di Renzi sono indubbiamente molto vicine ai principi liberali. Ma il sindaco di Firenze ha inserito anche il Cavaliere tra i vecchi politici da rottamare. L’apprezzamento di Berlusconi potrebbe ritorcersi contro il leader del centrodestra. Perché Renzi non è soltanto un piccolo Obama, che mutua dalle convention democratiche Usa scenografie e linguaggi, ma forse anche un piccolo Berlusconi. Ha un certo carisma, sa parlare, ha una faccia nuova (anche se fa politica da quasi vent’anni), è portatore di idealità e sogni. Se Berlusconi rottamò fascismo e antifascismo, Renzi vuole archiviare destra e sinistra in nome della rivoluzione generazionale. Al Cavaliere, Renzi piace: lo ricevette ad Arcore due anni fa. E probabilmente è convinto di poterlo tenere a bada in caso di confronto elettorale.