«Non è la prima volta, nell’Italia moderna, che si debbano affrontare prove dure e inesorabili. In altri passaggi, però, s’imponevano convinzione diffusa, coraggio corale, quasi entusiasmo contagioso». Il cardinale Angelo Bagnasco apre il Consiglio permanente della Cei con questa chiave di lettura: lo sfilacciarsi del tessuto sociale peggiora la crisi provocata dalla «supremazia arbitraria della finanza» che conduce in un «vicolo cieco». «È in questa cappa di sfiducia il fattore più pernicioso e pervasivo», dice il capo dei vescovi italiani. «C’è carenza di quella visione capace di tenere insieme i diversi aspetti dei problemi e coglierne i nessi, abbarbicati come spesso si è alla propria visione di parte, quando non al proprio tornaconto personale».
La crisi, la società che cede, il tornaconto che invece resiste: tre realtà intrecciate. Per questo Bagnasco ha nuovamente richiamato il valore della famiglia contro le unioni civili e criticato duramente «il reticolo di corruttele e scandali» che pervadono la politica e ora anche le regioni «inducendo a pensare che il sospirato decentramento dello Stato in non pochi casi coincide con una zavorra inaccettabile. Si parla di austerità e di tagli, eppure continuamente si scopre che ovunque si annidano cespiti di spesa assurdi e incontrollati». Non è per moralismo che l’arcivescovo di Genova striglia politici e amministratori pubblici: corruzione e spreco sono «motivo di disagio e di rabbia per gli onesti» e sfibrano ulteriormente una convivenza civile già svigorita. «Che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia è motivo di rafforzata indignazione che la classe politica continua a sottovalutare».
È una critica pesante: i politici non capiscono quello che sta succedendo. E cioè che la crisi non è passeggera e il sentimento dell’antipolitica «non è, a nostro avviso, un atteggiamento momentaneo e solo umorale, correggibile grazie a consuete mosse a effetto». Dai responsabili della cosa pubblica occorre una «concentrazione assoluta – senza distrazioni – sui problemi prioritari dell’economia e del lavoro, della rifondazione dei partiti, delle procedure partecipative ed elettive, di una lotta penetrante e inesorabile alla corruzione» e di un «rinnovamento reale e intelligente delle formazioni politiche» da irrobustire con «soggetti non chiacchierati».
Il «bene generale» deve prevalere «su qualunque altro interesse». Ai politici Bagnasco ripete il recente monito del Papa contenuto nel libro biblico della Sapienza: «Il giudizio è severo contro quelli che stanno in alto».
Ma un richiamo va anche ai cittadini tentati dall’astensionismo: uno «spettro» che «rischia di apparire a troppi come la “lezione” da assestare a chi non vuole capire». Al governo i vescovi ricordano che ci vuole una «solidarietà lungimirante» attuata da «strateghi di ogni operosa convergenza più che guardiani severi di un’ortoprassi rigida solo nella misura in cui lo si vuole». E gli rimproverano «la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo»: una trascuratezza che «la gente non perdonerà».
Bagnasco difende la famiglia perché senza di essa «la società, come già si profila in altri Paesi, andrebbe al collasso». Essa oggi «si rivela come fondamento affidabile della coesione sociale, baluardo di resistenza rispetto alle tendenze disgregatrici, vincolo di coesione tra generazioni, non certo “grumo” di relazioni come taluno vorrebbe definirla per liquidarla. Anche per questo essa merita di essere rispettata e considerata molto di più e quindi sostenuta concretamente con provvedimenti sul fronte politico ed economico».
Le unioni civili sono un falso problema, «un’imposizione simbolica, tanto poco in genere vi si è fatto ricorso». Si ha l’impressione, dice Bagnasco, che «non si tratti di dare risposta a problemi reali – ai quali da sempre si può rispondere attraverso il codice civile esistente – ma che si voglia affermare a ogni costo un principio ideologico, creando nuovi istituti giuridici che vanno automaticamente a indebolire la famiglia». Sindaci come Pisapia, ma anche leader in cerca di sponde come Casini, sono avvertiti. Più che sulle unioni civili, si diano da fare per approvare in Parlamento le norme sul fine vita (le cosiddette Dat).
Bagnasco sa di parlare controcorrente. Rivendica un «sano anticonformismo» che «solo ci salva dalla stagnazione». Sottolinea l’«impossibile irrilevanza della Chiesa, rimasta forse l’unica a lottare per i diritti veri di bambini, anziani, ammalati, della famiglia, mentre la cultura dominante vorrebbe sterilizzare ciò che di umano resta nella nostra civiltà». E torna a sollecitare «una leva di laici non mediocri, capaci di esporsi anche a prezzo dell’irrisione», e «una nuova generazione di politici cristianamente ispirati». Ma il leader dei vescovi si chiede anche «se ci siamo adeguatamente preoccupati di sostenerne la vita spirituale». Cioè se questi politici non siano stati lasciati un po’ troppo soli.