Il grande silenzio è sceso nel Pdl. Un partito dove abitualmente nessuno si tira indietro quando c’è da dichiarare qualcosa alle agenzie di stampa è muto da giorni, se si eccettuano poche frasi di Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri. I vertici sono muti. L’Ansa registra le ultime parole del segretario Angelino Alfano alle 19,25 di giovedì 30 agosto. Da allora soltanto qualche battuta di esponenti di minore peso sul cardinale Martini, Grillo o addirittura Obama. E la legge elettorale? Le clamorose rivelazioni postume dell’ambasciatore americano Bartholomew su Mani pulite? La legge sulle intercettazioni, che per anni è stato il cavallo di battaglia del partito di Silvio Berlusconi?

Su questi argomenti «pesanti» grava una cappa impermeabile. Eppure ci si attenderebbe dal Pdl una presenza mediatica massiccia. La legge elettorale deciderà gli assetti della prossima legislatura. Mani pulite è stato il fenomeno che ha cambiato la storia dell’Italia, ha originato la Seconda repubblica e, in qualche modo, ha anche accelerato la discesa in campo di Silvio Berlusconi. E poi le intercettazioni. L’ondata di polemiche sul coinvolgimento del capo dello stato potrebbe spingere verso l’approvazione di una riforma (la famosa «legge bavaglio» che indusse Repubblica a tappezzare le pagine con post-it gialli di protesta) che il Cavaliere invoca da tempo immemorabile.

«Quando chiesi io la legge fui lasciato solo, ora che riguarda Napolitano assistiamo a un’accelerata», ha detto l’ex premier qualche giorno fa. Il disegno di legge sulle intercettazioni, che porta il nome importante dell’ex guardasigilli ora segretario del Pdl, fu presentato nel 2008 ed è al terzo passaggio parlamentare; tuttavia da mesi è fermo alla Camera. Il Pdl vorrebbe ripartire da quel testo, il Pd invece vorrebbe che fosse il governo a formulare una proposta. Dunque, il Pdl sta preparando qualcosa sul tema? Farà qualche passo? Darà una mano al «partito anti-intercettazioni»? Favorirà un testo di mediazione o resterà fermo sulla propria linea rigorista? Non è dato sapere. Il silenzio regna.

Questa somma prudenza ha una spiegazione. Ed è la copertina dell’ultimo numero di Panorama, quella che ricostruisce in parte il contenuto delle telefonate intercettate del Colle. Il settimanale appartiene alla Mondadori, cioè a Berlusconi. E il Cavaliere è stato additato da molti, compreso Napolitano, come il mandante più o meno occulto di un’operazione che mette in pessima luce l’inquilino del Quirinale. I sospetti si sono appesantiti quando giovedì da Berlusconi non è arrivata nemmeno una parola in difesa del presidente della Repubblica. È stato Gianni Letta a salire da Napolitano, ma l’ex sottosegretario di Berlusconi premier ha sottolineato in una nota (evento rarissimo) di aver portato la «sua personale solidarietà». Non quella di Silvio.

Berlusconi ci ha messo una pezza con un’intervista al Foglio realizzata venerdì e pubblicata sabato, in cui egli ricorda la stretta di mano data nel 1994 a Napolitano, allora capogruppo alla Camera del Pds, simbolo di «un rapporto consolidato e leale» e di un «fair play che non è mai venuto meno e non verrà meno in futuro» con un capo dello stato che è «un impeccabile servitore della Repubblica». La rabbia del Quirinale per le precedenti 24 ore di silenzio si è sbollita. Ma resta la sostanza politica. Cioè che ora il Pdl è costretto a muoversi con grande attenzione su temi che avrebbe potuto cavalcare con forza perché tradizionalmente «suoi».