Chi vota Monti vota Bersani. Chi metterà la croce sui centristi di Casini e Fini manderà al governo Vendola. Il ritornello è ormai abusato nel Pdl ed è diventato uno dei principali argomenti di battaglia elettorale. Del resto, gli incontri «segreti» tra il premier e il segretario del Pd non fanno che confermare la prospettiva osteggiata dal centrodestra.

Ma chi vota Berlusconi, che cosa vota? L’alleanza tra progressisti e riformisti (così a Monti piace venga chiamata la sua area di riferimento) sarà – anzi, lo è – discutibile, fragile, soggetta a troppi compromessi e troppi tatticismi. E tuttavia è una prospettiva percorribile. Le proiezioni dei sondaggisti dicono che la coalizione Pd-Sel non raggiungerà la maggioranza assoluta a Palazzo Madama (quella a Montecitorio è data per acquisita), ma Bersani e Monti non sono troppo distanti su certi temi. Al Pd-Sel basterebbe un accordo post-elettorale con la trentina di eletti di Scelta civica per superare la soglia fatidica dei 158 senatori.

Dunque, che voto è quello dato al Cavaliere? La rimonta del Pdl c’è, ma non sarà sufficiente per alimentare speranze di vittoria. Berlusconi ne è perfettamente cosciente, tant’è vero che ha ceduto senza troppi rimpianti la candidatura a premier per favorire l’accordo con la Lega in Lombardia. «Il nostro candidato sarà Alfano», ripete. Ma Alfano non si è ancora visto in tv né nelle piazze. La sua campagna elettorale verso Palazzo Chigi non è ancora partita. Deve fare le liste e mettere a punto il programma, dicono nell’entourage. In realtà le liste sono appannaggio di Verdini e il programma non si discosta da cose sostanzialmente già viste cinque anni fa.

Impensabile un riavvicinamento con Monti, nonostante quanto ripete Mario Mauro. Gli sono ostili prima i numeri dei seggi parlamentari che i contenuti programmatici o le asprezze della contesa preelettorale. La prospettiva di Berlusconi è diversa. Da un lato, il Pdl punterebbe a sostituire Monti nell’eventualità che Pd-Sel non ottengano la maggioranza in entrambe le Camere. Sarà Napolitano ad assegnare l’incarico di formare il governo e, se il presidente insisterà sulla linea del largo coinvolgimento di forze parlamentari, un esecutivo con il Pdl offrirebbe una base più ampia (ancorché tutta da inventare) rispetto a un’intesa con i centristi.

L’altro scacchiere – più realistico – su cui Berlusconi conta di pesare è la corsa al Quirinale. Anche in questo caso il carattere costituente che da più parti si vuole attribuire alla prossima legislatura imporrebbe che il nuovo presidente sia frutto di un consenso parlamentare cospicuo e non risicato.

Se si vogliono varare riforme importanti, occorre coinvolgere anche il Pdl. Bersani non lo nega: qualche giorno fa ha detto che i vincitori dovranno ragionare come se avessero il 49%. Cioè come se avessero la necessità di allargare ulteriormente la base d’appoggio. E in questo contesto, il successore di Giorgio Napolitano dovrà essere una figura di garanzia per tutti i principali partiti.

Ecco il doppio tavolo su cui il Cavaliere gioca le sue carte. Per questo l’altro giorno ha lasciato cadere la battuta (subito smorzata, ma l’importante era dare un segnale) su Draghi al Quirinale. Probabilmente non è il capo della Bce il candidato su cui punta davvero Berlusconi. Ma il suo è stato un colpo ben assestato rivolto ai contendenti: ricordatevi che comunque dovrete fare i conti con me.