Questione di poche ore e si conoscerà se Lega Nord e Pdl andranno uniti o divisi alle prossime elezioni. Il Consiglio federale del Carroccio è convocato per domani, martedì, e dovrà discutere la decisione di Roberto Maroni, il segretario che ha avuto i pieni poteri a trattare con gli ex alleati. Sabato le parti sembravano vicinissime, ieri le distanze sono ritornate sensibili nonostante le dichiarazioni cariche di fiducia di entrambi gli uomini forti del Pdl, il presidente Silvio Berlusconi e il segretario Angelino Alfano.
Che cos’è successo nelle ultime ore? Da un lato il Cavaliere si è accorto di essere stato un tantino precipitoso quando si è detto disponibile, in caso di vittoria assieme ai padani, a fare anche il ministro degli Esteri o dell’Economia o di quello che serve. Il ruolo di Berlusconi è il vero, grande nodo di questo braccio di ferro. I programmi leghisti che il Pdl dovrebbe accettare (l’euroregione e le tasse al Nord) vengono in secondo piano. E Berlusconi non può permettersi non soltanto un passo indietro, ma nemmeno un passo di lato dopo che i sondaggi gli attribuiscono un miracoloso recupero di 10 punti in 20 giorni di intenso battage radio-tv preelettorale. Insomma, il Cavaliere non sembra più così pronto a cedere la candidatura a premier dell’eventuale asse Pdl-Lega.
I colonnelli di Maroni sabato parevano ormai rassegnati. Il segnale veniva dai messaggi sui social network. Il tono dei lombardi (il segretario regionale Salvini e quello milanese Iezzi) era di questo tipo: «Ora e sempre Lega». Come dire: resteremo fedeli anche se costretti a scelte che non condividiamo. Ieri invece Salvini ha alzato di nuovo l’asticella delle condizioni: «Nessun accordo con Berlusconi in campo». Un messaggio in sostegno a un tweet di Maroni: «Sottoscrivo l’iniziativa concreta di Tremonti contro l’Imu. Grande Giulio, ti vorrei come premier». Da giorni si parla dell’ex ministro dell’Economia come possibile punto di incontro tra i due partiti, ma il pressing è tutto leghista mentre da parte pidiellina si registra grande freddezza.
La sensazione è che comunque l’intesa si troverà, troppo alta è la posta in palio per entrambi i partiti, visto soprattutto il recupero del Pdl nei sondaggi. Il che consente a Berlusconi di fare la voce grossa: la situazione è diversa da qualche giorno fa, quando le rilevazioni demoscopiche in Lombardia davano la Lega in vantaggio sul Pdl. Quel dato aveva consentito a Maroni di dettare condizioni. Ora le cose sono cambiate e la Lega non può più chiedere l’accordo senza condizioni proposto da Maroni alla Berghem Frecc di Albino subito dopo Natale.
L’intesa richiede dunque un’accurata messa a punto. Perché un’ultima questione sta prendendo corpo. E riguarda l’affidabilità delle parti. In sostanza: il Pdl è sicuro (e viceversa) che se voterà Maroni in Lombardia otterrà dalla Lega il medesimo trattamento sul piano nazionale? I duri e puri del Carroccio saranno davvero disposti a votare Berlusconi, o nel segreto dell’urna faranno confluire altrove (almeno in parte) i loro suffragi, sicuri di aver incassato i consensi del Pdl per la regione Lombardia? E la Lega può fidarsi delle rassicurazioni di Berlusconi e Alfano, o troverà qualche sorpresa nelle urne lombarde?
Ieri Maroni ha mandato un altro piccolo segnale, ritwittando nientemeno che una frase di Pierluigi Bersani nel 33mo anniversario dell’assassinio di Piersanti Mattarella a opera della mafia. E a scanso di equivoci ha riproposto anche un tweet di Tremonti contro Monti e l’Imu. Il patto non è ancora firmato e il fuoco di sbarramento resta comprensibilmente alto.