Piove su Roma, non ci sono bandiere multicolori nel palazzo dei congressi dell’Eur, Silvio Berlusconi ha bisogno di un pulpito per appoggiarsi e al termine del lungo discorso ha pure un calo di pressione. Tutto concorre a dire che non si tratta di una “primavera” per il ritorno di Forza Italia, né di una “resurrezione”. I vent’anni passati dal primo apparire di Forza Italia si sentono tutti anche se Berlusconi garantisce: “Torniamo a Forza Italia perché noi siamo degli inguaribili ottimisti e ci riproviamo ancora, perché vogliamo una nuova primavera per Forza Italia, una resurrezione di un nome che abbiamo dentro il cuore”.

Berlusconi non riparte dalla ventata di novità del 1994, un movimento al limite dell’incoscienza che sapeva aggregare forze diverse e incarnava i desideri di cambiamento. La nuova Forza Italia non dice che cosa farà con il governo Letta-Alfano, come si comporterà dopo il voto del 27 novembre, dove si collocherà nell’imminente campagna elettorale per le europee: se con il populismo antieuropeo per strappare voti a Grillo o con la costruttività del partito popolare europeo.

Nel documento istitutivo di Forza Italia si ribadisce la collocazione nel Ppe, tuttavia i toni del comizio sono di tutt’altro tenore. “Alla Merkel e Sarkozy – ha detto Berlusconi – dava fastidio questo signore che era seduto al tavolo dei capi di stato e governo e aveva l’esperienza e la voglia di dire no a molte delle loro proposte che apparivano a me insensate”. Oppure: “Non vedo ministri che trattino queste pratiche con coraggio e statura necessaria per farsi ascoltare in Europa, questa è la situazione. Dobbiamo considerare la situazione globale in Ue a partire da un cambiamento della politica imposta a tutti dalla Germania e di cui beneficia solo Berlino”.

Non basta rileggere i discorsi del 1994 e riesumare un nome fortunato per tirare indietro le lancette del tempo. Il Berlusconi di oggi è un leader che ha perso per strada molte persone che aveva a fianco: i liberali della prima ora, e poi Casini, Fini, la Lega, ora Alfano. “La divisione che si è verificata ieri va contro la visione di unire tutti i moderati che se stessero insieme sarebbero la maggioranza degli elettori”, ha detto. Ma il Cavaliere non ha trattato i “governisti” alla stregua di traditori, come aveva fatto negli ultimi giorni nelle conversazioni private. “Abbiamo come alleati i Fratelli d’Italia, ora abbiamo anche i ‘cugini'”, ha ironizzato. Alfano non è Fini, con buona pace dei falchi azzurri. 

Berlusconi, per la prima volta nei suoi 20 anni di politico, ha le armi spuntate. Lo ammette egli stesso: “Dopo la decisione di 23 nostri senatori il 2 ottobre non eravamo e non siamo più in grado di far cadere il governo. Anche perché sono venuti fuori 20 nomi di componenti del M5S che hanno garantito il sostegno al governo. Noi al massimo ci saremmo messi fuori”.

È un’ammissione di sostanziale irrilevanza. Di debolezza. Ancora Berlusconi ammette di avere “bisogno di un rinforzo”: “Ci mancano personalità di peso. Faccio un nuovo appello a tutti coloro che sono protagonisti della cultura, delle università, imprese e aziende per dedicarsi a decidere il nostro comune destino”. Per questo Forza Italia paradossalmente ha bisogno anche di Alfano. “Con il Nuovo centrodestra non dobbiamo scavare un solco che poi sarà difficile da rimuovere. Questo gruppo, anche se adesso apparirà come un sostegno alla sinistra, al Pd, dovrà poi far parte della coalizione dei moderati”.

Con Fini fu rottura, con Alfano no. Almeno al momento. Perché sul sostegno al governo dopo il voto sulla decadenza Berlusconi è stato sfuggente. La rinata Forza Italia continuerà ad appoggiare l’esecutivo? Berlusconi è stato durissimo con il Pd: “Vogliono portare l’8 dicembre la testa del leader del centrodestra su un piatto d’argento”. E ancora, sul voto palese: “Questi personaggi che calpestano la legge io li chiamo fuorilegge. È molto difficile essere alleati in Parlamento e sedere allo stesso tavolo in Consiglio dei ministri con chi vuole uccidere politicamente il leader di un partito”. Molto difficile non equivale a impossibile. Il Berlusconi del ’94 non sarebbe stato così ambiguo.