Colpo di Stato. Omicidio politico. La grazia da concedere d’ufficio, senza nemmeno chiederla. Silvio Berlusconi ha rotto non soltanto gli indugi, ma anche gli argini e deborda. Una lunga intervista ieri mattina e un torrenziale comizio ieri pomeriggio hanno sancito l’ultima svolta del Cavaliere, che non avendo più nulla da perdere si scaglia furibondo contro tutto e tutti.
Berlusconi si è sicuramente ripreso la scena, ha rimesso la sua vicenda al centro dell’attenzione mediatica, ma le sue armi sono spuntate. Non può fare cadere il governo, che regge grazie agli alfaniani. Non può influenzare il capo dello Stato. Non può nemmeno combattere efficacemente contro la legge di stabilità. Gli resta una carta da giocare, quella della piazza. Agitare la folla degli elettori di centrodestra, radunarli a Roma il giorno in cui il Senato lo proclamerà decaduto.
Ma la gente, anche quella che vota Berlusconi, in questo momento ha guai più grossi cui pensare: la ripresa dell’economia che non arriva, le tasse che ogni giorno cambiano, il lavoro che non si trova né si ritrova, la difficoltà di arrivare a fine mese, le preoccupazioni per i figli disoccupati. Per farsi largo in mezzo a questa fitta foresta di problemi, al Cavaliere non rimane che alzare la voce per farsi sentire, urlare anche in modo scomposto sperando che la sguaiataggine si trasformi in efficacia.
Oggi il suo problema non è la correttezza del linguaggio, ma la mobilitazione del suo popolo. Impresa problematica. In qualche modo, lo riconosce lui stesso nel comizio tenuto davanti ai giovani di Forza Italia: “Sono tre notti che non dormo – dice per giustificare l’aria depressa – perché mi preoccupa moltissimo non la mia sorte, ma l’attacco in corso alla nostra libertà, senza che nessuno si alzi” per opporsi. Nessuno. E in effetti il Paese assiste all’epilogo della vicenda parlamentare di Berlusconi come a una tragedia teatrale, con emozioni che si esauriscono al calare del sipario e non provocano un reale coinvolgimento al termine della rappresentazione.
Per questo il Cavaliere deve suscitare scandalo, clamore, indignazione, senza rendersi conto che il vero colpo di Stato sarebbe se il Quirinale si muovesse senza rispettare la Costituzione. C’è sicuramente un accanimento politico contro di lui, un’accelerazione dei tempi che – dopo la sentenza-lampo della Cassazione in agosto – ora potrebbe puntare a una fiducia-lampo sulla legge di stabilità da approvare in tempi rapidissimi per non rischiare lo slittamento del voto palese sulla decadenza di Berlusconi. Ed ecco che gli avversari politici diventano “carnefici” e “golpisti”, e la sentenza della Cassazione che lo condanna ai servizi sociali una “umiliazione ridicola e inaccettabile” da cancellare con una grazia che Napolitano dovrebbe concedere senza che venga richiesta.
Non è più il tempo delle diplomazie, delle mediazioni, quelle che cercavano Alfano e i suoi ministri. Perso per perso, è l’ora della scimitarra. Il Corriere della Sera è “l’organo ufficiale, anzi non ufficiale, della procura di Milano” fin dal 1994 quando spedì il primo avviso di garanzia (vicenda nella quale ebbe un ruolo di rilievo l’attuale direttore del Giornale allora capocronista del Corsera). Sergio De Gregorio è stato “convinto dai pm ad accusarmi”. Il suo ex stalliere Vittorio Mangano “ha detto bene Marcello Dell’Utri a definirlo eroe”. Berlusconi annuncia anche che presenterà nuove “carte ineludibili” che dimostreranno la sua innocenza nel processo Mediaset.
I giovani azzurri applaudono, la piazza si scalda per la manifestazione di mercoledì 27, giorno della decadenza annunciata, che potrebbe essere preceduto dal passaggio formale di Forza Italia all’opposizione sul voto sulla legge di stabilità alla Camera. Già ieri gli azzurri si sono astenuti al Senato. Ma il governo andrà avanti anche senza i berlusconiani e i resti del suo popolo.