“C’è chi va in piazza e chi si batte nelle istituzioni”. Le parole del ministro Nunzia De Girolamo sintetizzano tutta la distanza tra Forza Italia e il Nuovo centrodestra scavata dalla drammatica giornata di ieri. Da un lato la difesa di Silvio Berlusconi fatta aizzando la folla in un anticipo di campagna elettorale, dall’altro la scelta di continuare a operare nel Parlamento e al governo per non esporre il Paese al rischio di una crisi al buio. Strategie diverse per lo stesso obiettivo, almeno a parole. Ma tra le anime dell’ex Pdl il solco è sempre più profondo e appare difficile immaginare che, come hanno detto lo stesso Berlusconi e Alfano pochi giorni fa all’atto della scissione, i due tronconi del centrodestra possano trovare un punto di sintesi in una coalizione alle prossime elezioni europee.

Forza Italia in piazza, gli alfaniani in Parlamento in ossequio alla “moralità del fare” imparata – a detta loro – proprio da Berlusconi. Nemmeno la Lega è scesa a protestare sotto casa del Cavaliere, a due passi da piazza Venezia. La manifestazione pro Silvio è stata una faccenda di Forza Italia, e basta. E i suoi esponenti principali hanno usato parole di fuoco verso gli ex compagni di partito. Traditori, ha urlato la folla. Messinscena ipocrita e disgustosa, ha scritto Sandro Bondi in una nota. Pianto greco di Alfano, è stata la scudisciata di Mara Carfagna.

Adesso il pallino è in mano proprio ad Alfano e ai suoi. Il vicepremier ha detto che il governo e la sinistra non hanno più alibi per le riforme, a partire da quella della giustizia (intercettazioni, abuso della custodia cautelare, responsabilità civile dei magistrati) invocata più volte anche dal presidente Napolitano ogni volta che si parlava di Berlusconi. Ma nemmeno Angelino ha più alibi. Letta gli ha garantito che non ci saranno rimpasti, dunque il Ncd manterrà una rappresentanza nell’esecutivo sproporzionata rispetto alla forza parlamentare. Inoltre Alfano dovrà cercare lui i punti di mediazione con un Pd che tra 15 giorni, quando ne prenderà le redini Matteo Renzi, sarà molto più insofferente di ora verso il governo delle un-po’-meno-larghe intese.

E non dimentichiamo che la pattuglia del vicepremier dovrà guardarsi anche dallo stesso Berlusconi. Il Cavaliere è fuori dal Parlamento ma non dai giochi. Dal palco ha ricordato che non sarà l’unico leader di partito “extraparlamentare” e ha citato i casi di Grillo e Renzi. In realtà ci sarebbero anche Bobo Maroni e Nichi Vendola: cinque partiti, quasi l’intera rappresentanza alle Camere, è guidata da personaggi privi di seggio a Montecitorio e Palazzo Madama. 

Berlusconi ha dato il meglio all’opposizione, quando ha dato battaglia ai governi della sinistra prendendosi la rivincita nelle urne, e ora che ha rotto gli indugi togliendo l’appoggio a Letta preparerà una controffensiva massiccia.

Alfano ha congedato il Cavaliere e blindato Letta, sperando che qualche altro giunga a puntellare il suo tentativo. Ha riunito il gruppo, steso un documento e convocato una conferenza stampa. Non ha reagito ai veementi attacchi e agli insulti forzisti. È convinto anch’egli, come Letta, che ora il governo sia più coeso. Ma è uno strano modo di leggere i numeri. L’esecutivo avrà perso un pezzo che creava instabilità, ma ha lasciato per strada anche numeri importanti: è come un palazzo di cui si consolidassero le fondamenta ma riducendone la superficie, non è detto che sia più stabile. E poi sembra di sentire il vecchio ritornello ripetuto anche ieri da Berlusconi: volevo fare le riforme ma i partitucoli me l’hanno impedito. È come se Letta e Alfano si calassero negli stessi panni: finora avevamo una zavorra, adesso finalmente navigheremo a vele spiegate. Intanto, chi pensava che la rottura tra Alfano e Berlusconi fosse soltanto un gioco delle parti, una commedia concordata e con una regìa unica dietro le quinte, da ieri deve proprio ricredersi.