Annamaria Cancellieri non si dimette da guardasigilli, andrà martedì in Parlamento a chiarire ripetendo ciò che ieri ha detto ai giornalisti e al congresso radicale. Enrico Letta la difende, nella certezza che il ministro spiegherà tutto. Anche il Pdl si schiera dalla parte dell’ex prefetto, mettendo in campo un paragone con il caso Ruby che invece inguaia Silvio Berlusconi. Meno convinta è la difesa del Pd, ormai lontanissimo da posizioni garantiste: per i leader democratici non bisogna enfatizzare la vicenda delle telefonate della Cancellieri pro-Ligresti, ma neppure minimizzare.

Queste sono le posizioni in campo sull’ennesima mina che contribuisce a incrinare la stabilità, da tempo precaria, del governo. Il caso Ligresti-Cancellieri riavvicina le due anime in cui è diviso il Pdl e riavvicina anche lo stesso centrodestra al premier, mentre al contrario sottolinea la crescente insofferenza del centrosinistra verso l’esecutivo delle larghe intese. Ancora una volta, sullo sfondo rimane la figura di Silvio Berlusconi. Nella filigrana della polemica sul guardasigilli si leggono le sue vicende, che fanno da filtro alle reazioni di ogni parte.

Il Pdl ripropone il paragone con il caso Ruby: anche Berlusconi fece una telefonata per fini umanitari quando la nordafricana minorenne si trovò in questura a Milano alle prese con gli agenti e un magistrato. Quindi ben venga anche l’umanità del ministro Cancellieri, una donna che si occupa delle drammatiche condizioni della carcerazione preventiva, che ha incontrato decine di persone che mai raggiungeranno la notorietà dei Ligresti, dimostrando vero dolore e vera partecipazione. Una cosa che al momento appare chiara è che il guardasigilli non ha agito né per interesse personale né per un atteggiamento di circostanza.

È una posizione che, dall’altro lato, il Pd non può assumere tale e quale. A sinistra non si può dare l’impressione di concedere un margine di benevolenza sul tema della giustizia proprio nei giorni cruciali in cui si decide la permanenza di Silvio Berlusconi in Senato. Ogni cedimento su quel fronte può spostare consensi in vista delle primarie. Qualcuno ricorda la severità con cui fu affrontato il caso del ministro Iosefa Idem, costretta alle dimissioni per un abuso edilizio nemmeno troppo eclatante. Ma la Idem era ministro senza portafoglio, mentre la vicenda Cancellieri è più paragonabile alla situazione di Angelino Alfano con il caso Shalabayeva di quest’estate. Allora Letta non poteva perdere il ministro dell’Interno, capo della delegazione Pdl nell’esecutivo, e ora non può privarsi del guardasigilli in quota Scelta civica e apprezzatissimo dal Quirinale. La sola ipotesi di un rimpasto equivale a compromettere i fragili equilibri di Palazzo Chigi.

È un altro il terreno su cui il Pdl scarica le tensioni antigovernative, cioè la legge di stabilità. Governo delle tasse e delle manette: così ormai i falchi berlusconiani apostrofano le larghe intese. E Letta, che non ha mosso un dito per agevolare la posizione del Cavaliere, difende invece la Cancellieri e si dice disposto a incontrare i gruppi parlamentari per modificare − a saldi invariati − alcune parti della legge di stabilità che il Pdl si prepara a smontare pezzo su pezzo. 

In sostanza, la posizione del guardasigilli imbarazza il Pd nel merito, ma nel metodo alilmenta le tensioni del centrodestra che difende sì il ministro, ma evidenzia il «doppio binario» su cui si muove il governo in tema di giustizia: una debolezza che si aggiunge a quella della legge di bilancio. 

L premier-sminatore tenterà di chiudere la vicenda Cancellieri in tempi brevi, visti anche l’abilità e il coraggio con cui l’ex prefetto difende il proprio operato. Per il governo, il capitolo tasse e la decadenza di Berlusconi appaiono molto più pericolosi.