L'”enfant prodige” non ha finito di fregarsi le mani. Matteo Renzi in una settimana ha fatto filotto. Domenica scorsa la trionfale cavalcata delle primarie che gli ha consegnato due terzi del partito: e sono i due terzi dei militanti, non dei quadri, della burocrazia interna che non lo può vedere e tuttavia sta già preparando le valigie. Dopo aver messo le mani sul partito, il Rottamatore ha guardato al governo e ha infilato altri due colpacci, come l’accelerazione sulla legge elettorale (traslocata dal pantano del Senato al vitalismo della Camera) e l’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti.

Formalmente si tratta di un provvedimento del governo, un decreto legge entrato subito in vigore. Ed è curioso che nessuno abbia eccepito l’assenza dei requisiti necessari per varare un provvedimento del genere: dove sarebbero – in materia di finanziamento pubblico – la necessità e l’urgenza indispensabili, secondo la Costituzione, per varare un decreto legge simile? L’urgenza è una sola, quella di anticipare le mosse di Matteuccio Renzi. Renzi detta dunque la linea al governo, cosa che prima di lui il “reggente” democratico Guglielmo Epifani non si è mai permesso di fare. 

Ma così facendo il Rottamatore destabilizza l’esecutivo, che si sostiene grazie ai voti dei centristi e del Nuovo centrodestra di Alfano, che male digerisce il protagonismo del sindaco di Firenze. Il quale, avendo fatto ben poco per consegnare al successore una città migliore di quella che aveva trovato, deve dimostrare di non essere soltanto “chiacchiere e distintivo”. 

Quello che ormai si conosce del Renzi fiorentino è la smisurata ambizione. Il disegno è quello di conquistare Palazzo Chigi in tempi rapidi. Votare in primavera e prendere in mano le redini del governo in tempo per guidare il semestre di presidenza europea, che scatta il prossimo 1° luglio e rappresenta la “linea del Piave” di Enrico Letta. Anche per questo il pupillo del presidente Giorgio Napolitano, accanto al decreto che modifica il finanziamento pubblico ai partiti, ha varato anche una serie di misure anticrisi come le detrazioni per i libri e gli sconti sulle assicurazioni: anch’egli deve cominciare a dare qualche segnale di vita. 

Ma a guastare la festa dei due galletti nel pollaio democratico è arrivato il Corriere della Sera. Che ieri in prima pagina aveva una bomba contro il giudice Antonio Esposito, quello che ha sancito la condanna definitiva di Silvio Berlusconi in Cassazione: addirittura assidue frequentazioni con personaggi in odore di mafia. Esposito ha smentito minacciando querele, ma intanto Forza Italia è ripartita all’attacco contro la magistratura e in particolare contro il magistrato chiacchierone, già traditosi (come rivelato dal Giornale) nelle tavolate conviviali e (come rivelato dal Mattino) anche nelle conversazioni con i giornalisti. 

Ma un conto sono le chiacchiere a tavola, un altro le presunte contiguità con la criminalità organizzata. 

È un caso che lo scoop sia del Corriere, il giornale più vicino ai poteri forti e al Quirinale, e perciò all’esecutivo Letta? Probabilmente no. Di sicuro c’è una componente di rivalsa nei confronti di Repubblica, giornale di Carlo De Benedetti, tessera numero 1 del Pd recentemente trasformatosi da supporter di Pierluigi Bersani in “groupie” di Matteo Renzi. Corriere e Repubblica rappresentano i contendenti per la leadership del Partito democratico. 

Ma c’è di più. Forse si affaccia una sorta di pentimento per aver azzoppato anzitempo il cavalier Berlusconi. Meglio le guasconate di Silvio che l’imprevedibilità di Renzi, fuori controllo per l’establishment. A conti fatti, forse conveniva tenere in sella uno come il leader di Forza Italia piuttosto che dare campo libero al Rottamatore, che avendo in pugno il 70 per cento del Pd (oggi ci sarà la definitiva consacrazione all’Assemblea nazionale del partito a Milano) può fare davvero ciò che vuole del Paese. 

Alimentare la campagna anti-Esposito è un modo per riabilitare Berlusconi. E così facendo, è un tentativo per tenerlo lontano dalle sirene renziane che vogliono i voti di Forza Italia per modificare la legge elettorale.