Uscito malconcio dal confronto tv con Cuperlo e (soprattutto) Civati, Matteo Renzi cerca di recuperare terreno a sinistra. Il tempo del fair play è scaduto e il sindaco di Firenze, per consolidare un consenso reso traballante dall’X factor di Assago, sceglie dalle colonne amiche di Repubblica di rosicchiare consenso al secondo, il più anti-governativo dei tre. Non potendo attaccare direttamente il compagno di partito Enrico Letta, il Rottamatore gioca di sponda, come a biliardo: il colpo è diretto ad Angelino Alfano e solo di rimando al premier. Il Nuovo centrodestra – sostiene Renzi – ha troppi ministri rispetto al peso alle Camere, e anche i suoi 30 parlamentari sono nulla davanti ai 300 del Pd. Urge un rimpasto altrimenti tutti a casa.

Alfano replica a tambur battente: “Se Renzi vuole la sedia di Letta lo dica chiaramente”. Il botta e risposta probabilmente avrà altre puntate nei prossimi giorni, visto che il sindaco di Firenze è in campagna elettorale. Tuttavia Alfano sembra non scomporsi più di tanto. Angelino è giovane ma ha alle spalle la vecchia scuola Dc. Nei governi di coalizione della prima Repubblica non c’era mai correlazione diretta tra il numero di parlamentari e quello di ministri, altrimenti Craxi e Spadolini non avrebbero mai guidato un esecutivo dall'”alto” dei loro partiti minoritari. È lo stesso, vecchio pragmatismo di Enrico Cuccia, che guidava Mediobanca per conto degli azionisti più “pesanti” benché non avessero la maggioranza delle quote azionarie.

Dunque, Alfano replica ma non si scompone perché considera quello di Renzi un bluff. Il Rottamatore non farà cadere un governo a guida Pd e il Ncd resterà con il suo pacchettino di ministri. Che però indispettisce Forza Italia. Lo scontro tra ex pidiellini è sempre più acceso: il fuoco è aperto dai berlusconiani mentre gli alfaniani tengono duro senza reagire, ligi alla consegna di ignorare le provocazioni. O meglio, hanno scelto una linea che ci riporta indietro di tre anni, quando Fini lasciò Berlusconi dando vita al Fli.

Dopo la scissione del 2010, assieme alla caccia al parlamentare che garantisse la maggioranza al governo, si aprì un fronte che riguardava la composizione delle commissioni parlamentari. I finiani erano finiti a occupare certi posti in quanto membri della maggioranza. Dopo aver tolto il sostegno al governo, avrebbero dovuto lasciare quelle poltrone perché le commissioni (in particolare quelle di garanzia) devono rispettare precisi criteri nella composizione rispecchiando i rapporti di forza tra maggioranza e minoranza in Aula. Questo “rimpastone” non ebbe luogo, la maggioranza di talune commissioni cambiò (da pro- divennero anti-berlusconiane) e l’attività delle Camere ne risentì non poco. 

Quando la maggioranza di governo cambiò di nuovo, con il governo tecnico di Mario Monti, si sarebbe reso necessario un ulteriore rimescolamento sul quale si sorvolò: c’erano questioni più urgenti da affrontare e poi la legislatura era agli sgoccioli.

Qualcosa di analogo si sta riproponendo. Nelle commissioni parlamentari Forza Italia sta occupando posti che spetterebbero alla maggioranza. È su questo aspetto, formale e sostanziale al tempo stesso, che insisteranno gli alfaniani. Nessuna risposta alle provocazioni personali e politiche (anche ieri il fuoco di sbarramento forzista è stato pesantissimo), ma confronto sulle regole e la rappresentanza. L’anomala composizione delle commissioni sembra una faccenda di bilancini, invece è un problema che potrebbe bloccare il cammino di molti provvedimenti se non paralizzare le Camere. Sempre che Renzi rimanga nei ranghi.