Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Il «miserabile» (definizione di tutti i “quirinabili” del Pd impallinati da Renzi) e l’«impresentabile» (copyright Lucia Annunziata). Si parla ancora di loro dopo l’incontro di lunedì sera al Teatro Regio di Parma, ospiti della famiglia Barilla nella città dove governa un grillino già piuttosto malconcio. In mancanza del segretario democratico del presente, cioè Pierluigi Bersani, il Cavaliere deve accontentarsi di vedere il probabile leader del futuro. E scherzare sulla sua statura, perché Renzi supera il metro e ottanta: così riferiscono le cronache di chi era a Parma l’altra sera, che ha registrato l’imbarazzo (e l’invidia?) di Berlusconi. Come se fosse la prima volta che i due si vedevano.



All’apparenza, Silvio e Matteo non avevano molto da dirsi nella conversazione che ha preceduto lo spettacolo del Regio. Renzi punta a votare il prima possibile perché ciò significherebbe la fine politica di Bersani e la propria incoronazione attraverso nuove primarie. Perciò il suo candidato alla presidenza della Repubblica è il personaggio più inviso a Silvio Berlusconi, Romano Prodi, l’unico capace di sconfiggere il Cavaliere alle urne per ben due volte. Prodi al Colle equivale a una rottura tra Pd e Pdl, cioè impossibilità di formare un nuovo governo, dunque nuove elezioni ravvicinate.



Berlusconi, viceversa, punta a mandare al Quirinale una figura che sia preludio di un accordo politico con il Pd per il governo: perciò niente nuove elezioni, nonostante i sondaggi diano il Pdl in crescita. Le urne potrebbero nascondere più di una incognita: meglio un accordo chiaro subito anche con lo stesso Bersani a Palazzo Chigi, piuttosto che un salto nel buio in cui un Renzi «socialdemocratico» potrebbe portarsi via una bella fetta del tradizionale consenso del centrodestra.

Renzi a sinistra è considerato poco più che un nuovo Berlusconi. Le comparsate sulle tv Mediaset (l’ultima da Maria De Filippi); la capacità comunicativa; le idee più vicine al mondo liberale e di rottura con l’ortodossia «rossa». Berlusconi ripete che, avesse il fiorentino vinto le primarie democratiche d’autunno, non si sarebbe candidato per gustarsi il duello Renzi-Alfano.



Tuttavia Berlusconi aveva bisogno di verificare le intenzioni del sindaco di Firenze sui nomi per il Quirinale. In particolare sul candidato che sta prendendo quota in queste ore, cioè Giuliano Amato. Il Dottor Sottile è la prima scelta di Napolitano, garantista, abile mediatore, di una sinistra moderata, ed è il nome sul quale si sta orientando Bersani. A Berlusconi andrebbe benissimo. 

Non è gradito alla sinistra radicale dei vendoliani, e questo consentirebbe al Pdl di mettere un cuneo nella coalizione che ha prevalso alle elezioni. Un garantista in materia di giustizia − che fu a lungo il braccio destro di Bettino Craxi salvo staccarsene con invidiabile scelta di tempo − non può che incontrare i favori di un Berlusconi che teme l’accanimento dei giudici milanesi.

E Renzi, che ne pensa di Amato? Le truppe parlamentari del sindaco di Firenze non sono molto numerose, ma per eleggere il nuovo capo dello Stato ogni voto è utile. E i renziani sì, voterebbero Amato. Non sarebbe certo una «prima scelta» come Prodi, che significherebbe elezioni quasi immediate. Tuttavia l’accordo con il Pdl equivale a una sostanziale sconfessione della linea finora tenuta da Bersani, ostile a qualunque patto con il Pdl e favorevole a un governo di minoranza con appoggio esterno o astensione di grillini o montiani.

Amato al Quirinale farebbe dunque comodo a Renzi per indebolire Bersani, senza contare che un eventuale «governissimo» Pd-Pdl potrebbe avere comunque vita breve e portare a nuove elezioni in tempi ristretti, benché non ristrettissimi. Questa rassicurazione voleva Berlusconi, e questa ha ottenuto tra gli stucchi e i velluti dei palchi ducali in cui Grillo, dopo l’entusiasmo iniziale, sta rapidamente perdendo quota.