Finora i problemi più grossi per la formazione del nuovo governo erano arrivati da sinistra, in particolare dal Pd dilaniato dai personalismi e dall’ostilità a un accordo con il Caimano Berlusconi. Ieri, tuttavia, il più lungo degli incontri avuti dal presidente incaricato Enrico Letta con le delegazioni dei partiti è stato quello con il Pdl. Quasi due ore. Già: adesso sono i berlusconiani a fare i difficili. Il Pdl aveva proposto fin dal giorno dopo le elezioni di febbraio (ormai sono passati due mesi) la soluzione verso la quale ci si sta avvicinando: un governo politico – non tecnico – di larghe intese. Per dare prova di ragionevolezza, il Cavaliere ha perfino rinunciato a proporre un suo candidato al Quirinale, anche di bandiera.
Ora che i nodi più aggrovigliati sono stati sciolti (un presidente della Repubblica gradito, un presidente incaricato avviato nella direzione auspicata dal centrodestra, il Pd in caduta libera nel consenso degli elettori e destinato a una radicale trasformazione), emerge tutto il malumore all’interno del Pdl che finora era stato tacitato.
Che cos’è successo? Anche nel Pdl, e non solo nel Pd, si fronteggiano due anime: coloro che credono davvero nel «governone» e quanti l’hanno usato come obiettivo tattico per puntare in realtà a tornare alle urne. Se a sinistra mal digeriscono un accordo con il grande nemico, a destra non si fanno i salti di gioia. Ma il sentiero imboccato è senza ritorno, l’intesa è obbligata, e Napolitano ha fatto intendere che piuttosto di sciogliere le Camere darà le dimissioni lasciando i partiti nel pantano.
Inoltre il Pdl non potrà più compiere passi falsi su programma e attività di governo. In campagna elettorale l’argomento Imu è stato efficace e l’«errore» di aver votato il provvedimento nei primi giorni del governo Monti è stato ben digerito dagli elettori del centrodestra, ma una seconda «svista» non sarà perdonata.
Per questo il segretario pidiellino Angelino Alfano (eccezionalmente accompagnato da Denis Verdini, l’uomo dei dossier più scottanti del quale Berlusconi si fida ciecamente) ha messo sul tavolo di Enrico Letta gli otto punti del centrodestra, a partire dall’Imu. Il centrodestra non può permettersi di apparire soltanto come un «portatore d’acqua» per Letta lasciando sul programma mano libera alla lenzuolata elaborata dai dieci saggi del Quirinale. Un conto è un governo tecnico dalla durata limitata, un altro un esecutivo politico dove le responsabilità dovranno essere prese alla luce del sole e senza tentennamenti.
Il Pdl ha battagliato in campagna elettorale promettendo abolizione e addirittura restituzione dell’odiatissima tassa sulla prima casa: non può avallare un governo che non ne tenga conto. Ma sul versante opposto il Pd ha basato la sua propaganda elettorale sull’antiberlusconismo (conquistando una maggioranza sia pure risicatissima) e ora si ritrova a dover ripiegare proprio quella bandiera. Ognuno deve rinunciare a qualcosa.
L’altro problema posto da Alfano riguarda i nomi per l’esecutivo. Letta e il Pd non vogliono ex ministri pidiellini nel nuovo governo: bisogna dare un segnale di discontinuità. Ma può il Pdl accettare veti sui propri rappresentanti? Lo scontro interno tra falchi e colombe del Pdl ruota anche su questo. Se dev’essere un governo politico, i ministri chiave devono essere politici e non altri tecnici pescati da università e organizzazioni internazionali. L’unico su cui Berlusconi sembra disposto a transigere è Anna Maria Cancellieri. Da Dallas, dove si trova per l’evento organizzato dalla famiglia Bush, il Cavaliere ha detto di non voler neppure pensare a un fallimento del tentativo di Enrico Letta. Sembra d’altra parte che Napolitano voglia la lista dei ministri entro domani in modo che il governo possa presentarsi alle Camere lunedì. Con un po’ di fatica, c’è il tempo per consentire a Berlusconi il texano di rientrare a Roma e guidare in prima persona l’ultima fase della trattativa.