Silvio Berlusconi non ha mai avuto tanta simpatia per Dario Franceschini come in questi giorni. Il barbuto leader della fu Margherita – e romanziere negli scampoli di tempo lasciati liberi dalla politica – con il suo «strappo» che apre alle larghe intese con il Pdl rappresenta in questo momento la sponda che il Cavaliere cercava nella sua strategia. Pierluigi Bersani, che di Franceschini ha preso il posto come segretario del Partito democratico, morde il freno. Lui non è stato «folgorato sulla via di Arcore», come malignano nella cerchia bersaniana, e insiste: avanti verso l’elezione del nuovo capo dello Stato con chi ci sta, anche con una maggioranza di pochi voti. Chiusa la partita del Quirinale, e insediato un personaggio nuovamente dotato del potere di sciogliere le Camere, si aprirà un nuovo capitolo. E vedremo se chi oggi invoca le elezioni anticipate resterà domani della stessa idea.

Franceschini, Fioroni e altri «big» centristi del Pd sembrano dunque fare presagire che sia meno lontana la possibilità di un accordo con il Pdl e Scelta civica. Un rinnovato accordo a tre, lo stesso che sostiene il governo Monti, che serva prima a scegliere il nuovo inquilino del Colle e poi a sorreggere il nuovo esecutivo. Con una differenza sostanziale rispetto a Monti: non sarà più un governo tecnico, di emergenza o di responsabilità, ma politico. La partita si gioca tutta nelle anime del Pd.

Si assiste a un paradossale e repentino scambio di posizioni. Bersani, che non ha restituito al capo dello Stato il pre-incarico di formare il governo con il quale doveva evitare il voto anticipato, ora forza la mano agitando le urne come spauracchio verso le controparti. Berlusconi, che fino a 10 giorni fa spergiurava di non temere un nuovo verdetto popolare, adesso rilancia punti e programmi per garantire al Paese che Quirinale e Palazzo Chigi siano occupati presto e bene. Le elezioni anticipate (gli unici che dicono di non averne paura sono Matteo Renzi e Beppe Grillo) per Berlusconi sarebbero un salto nel buio, l’«extrema ratio». La priorità è diventata far sì che Giorgio Napolitano sia sostituito da una personalità di garanzia, un nome condiviso anche dal centrodestra e soprattutto non sia espressione delle frange più giustizialiste del panorama politico e istituzionale.

Gli «otto punti» programmatici messi sul tappeto dal Cavaliere, che secondo Berlusconi «hanno consentito al centrodestra di sfiorare la vittoria alle ultime elezioni», vanno così a sovrapporsi al lavoro dei «dieci saggi» nominati da Napolitano. 

Espedienti per guadagnare tempo prezioso per consentire agli «sherpa» di mediare sottotraccia, limare le asperità, tentare di trovare soluzioni, possibili punti di intesa. Si lavora anche per favorire l’incontro tra Berlusconi e Bersani di cui si parla da quasi una settimana e che potrebbe entrare in agenda per sabato prossimo. Proprio il giorno in cui il Pdl ha in calendario una manifestazione di piazza a Bari priva tuttavia di intenzioni «barricadiere».

Ieri Berlusconi è tornato a farsi sentire con un intervento on-line. Per il Cavaliere, le altre forze politiche «perdono tempo» e la politica «si impantana, si fa del male e ci fa del male». Invece il Pdl dal 15 aprile presenterà alle Camere le «otto proposte choc per l’economia, la società e le istituzioni»: abolizione e rimborso Imu, taglio del finanziamento ai partiti, revisione di Equitalia, riforma fiscale e della giustizia, presidenzialismo, rafforzamento dei poteri del premier. Saranno altrettanti disegni di legge nel segno della «concretezza». In essi c’è «molta propaganda», ha ribattuto Franceschini, ma non si possono escludere dal tavolo della discussione. Gli ha fatto eco Mara Carfagna, secondo la quale gli otto punti di Bersani «sono in buona parte sovrapponibili» a quelli di Berlusconi. E il dialogo continua.