È una bella grana quella che inasprisce l’inizio del «ritiro in convento» del governo Letta. Una grana che mina la fondamenta stesse dell’esecutivo, e chissà se Guglielmo Epifani – neo segretario pro tempore del Pd – si riferiva anche a quel terreno quando sabato ha parlato di Silvio Berlusconi come di un personaggio che semina mine.
Nel discorso di insediamento prima di chiedere la fiducia, Enrico Letta aveva attinto al bagaglio culturale di Beniamino Andreatta per distinguere tra «politica» e «politiche» come discrimine per l’azione del suo governo. Se vuole durare a lungo, una compagine in cui sono costretti a stare assieme soggetti che per vent’anni se le sono suonate di santa ragione deve deporre gli argomenti «identitari», quelli che determinano scontri ideali e di principio, per concentrarsi invece sui fatti concreti, sull’azione reale, sui provvedimenti da adottare. Perciò la politica, intesa come luogo delle identità di partito, deve fare un passo indietro rispetto alle politiche, cioè alle cose da fare.
È su questo terreno che la manifestazione di sabato del Pdl a Brescia ha disperso qualche mina. Sabato Berlusconi ha attaccato duramente la parte di toghe che ritiene politicizzata, e ad applaudirlo c’erano anche ministri in carica, a cominciare da Angelino Alfano, vicepremier e titolare del Viminale, cioè del ministero i cui uomini (le forze dell’ordine) devono appunto mettersi al servizio della magistratura. Questa presenza è stata ampiamente contestata.
È la presenza in sé a una manifestazione della «politica», più che l’avallo alle critiche verso i giudici, ad aver irritato Letta. Perché ogni ritorno della politica sposta l’attenzione dalle politiche, le buone politiche, cioè l’azione del governo, unico terreno su cui possono trovare punti di intesa partiti ideologicamente lontani. Nella serata di sabato la reazione di Letta era stata critica, ma priva di toni aspri. Evidentemente tra la notte e il mattino deve essere successo qualcosa, con tutta probabilità una solenne strigliata dal Quirinale, perché nel pomeriggio di ieri, quando Letta e Alfano sono saliti sul pulmino che li ha portati nel convento di Spineto, scortati l’uno da Dario Franceschini e l’altro da Maurizio Lupi, il clima si era fatto molto pesante e la tensione elevata.

Letta ha ripetuto (l’ha detto successivamente davanti a tutti i ministri e le sue parole sono state riportate nella conferenza stampa serale tenuta dai portavoce) la distinzione tra politica e politiche. Una differenziazione che in questo momento fa comodo soprattutto al Pd, alle prese con una difficile riorganizzazione interna e alla ricerca di una nuova ragion d’essere, mentre sta stretta al Pdl, che sempre più intende proporsi come il vero azionista di maggioranza dell’esecutivo nonostante i numeri parlamentari ridotti. Il Pdl vuole che l’impronta dei propri programmi sia sempre più evidente, a partire dalla trasformazione dell’Imu, e non farà passi indietro. Il profilo di un partito responsabile, affidabile, leale con il governo delle larghe intese deve consolidarsi di pari passo con la percezione chiara che le politiche per il bene del Paese sono quelle contenute nella piattaforma pidiellina: questa è la strategia di Berlusconi.
Tra premier e vicepremier è stata così raggiunta una tregua armata: fino ai ballottaggi delle imminenti elezioni amministrative (cioè per quattro settimane) i ministri andranno in tv e ai comizi soltanto per parlare dell’attività di governo. Letta avrebbe voluto prolungare indefinitamente questa limitazione, mentre Alfano ha tenuto duro. Letta vuole cementare lo spogliatoio a Spineto, lo spirito di squadra, ma come dimostra la storia – anche recente – di molte grandi compagini di calcio è un’impresa che richiede assai più che 24 ore di ritiro a inizio campionato.