Il premier Enrico Letta parla al mattino dalle pagine di Repubblica ribadendo che il tema numero uno del suo governo è il lavoro, tant’è vero che il primo provvedimento dell’esecutivo è stato rifinanziare i fondi per la cassa integrazione e prendere misure contro la disoccupazione. «Gran parte della manovra» ha detto il presidente del Consiglio «è dedicata ai temi cari al centrosinistra», dai precari della pubblica amministrazione ai contratti di solidarietà. Confermate le brutte notizie per le tasche dei contribuenti (e per le politiche antitasse del centrodestra): non slitterà l’aumento dell’Iva e non sarà sospesa l’Imu sui capannoni. «In questa fase non possiamo fare di più, allargare i cordoni della borsa come si faceva in passato non è possibile».
Sempre ieri mattina, ma sul Corriere della Sera, il vicepremier Angelino Alfano sprizza gioia perché il primo provvedimento del governo ha riguardato la casa, la tanto odiata Imu, mentre in consiglio dei ministri non si è parlato di giustizia e legge elettorale: «Soltanto di economia e sobrietà della politica». Il destino dell’esecutivo non è a rischio: esso è nato «grazie alla tenace volontà di Silvio Berlusconi di farlo nascere, non nonostante Berlusconi», e la sua sorte non è legata all’esito dei processi.
Guglielmo Epifani, fresco leader del Partito democratico, la vede diversamente da entrambi perché, per lui, il tema del momento non è né il lavoro, né l’economia, né le tasse sulla casa, ma proprio la giustizia. La questione del lavoro è occasione di una semplice polemica all’interno della sinistra, riguardante la mancata partecipazione alla manifestazione di sabato della Fiom. L’attenzione del Pd, secondo il neo-segretario, rimane focalizzata sulla giustizia. Sembra una linea dettata ancora dagli antiberlusconiani, soprattutto in vista dell’appuntamento di domani, martedì, quando si insedierà la Giunta per le elezioni del Senato che dovrà esprimersi sull’eleggibilità di Berlusconi proprio a Palazzo Madama.
Qui il nodo è se il Pd ascolterà le sirene manettare dei grillini mettendo a rischio il governo di larghe intese, oppure terrà un profilo meno provocatorio. Le avvisaglie non sono favorevoli al Cavaliere, se guardiamo al fuoco di sbarramento per l’elezione di Nitto Palma alla commissione giustizia, andata in porto dopo tre votazioni a vuoto. Anche ieri Epifani ha chiesto a Berlusconi di non usare la giustizia come un’arma di ricatto verso l’esecutivo: «La deve smettere di mettere mine e fare attentati pensando di mettere il governo in fibrillazione con la questione giudiziaria», ha detto Epifani, più o meno le cose già dette una settimana fa dopo la turbolenta manifestazione del Pdl a Brescia.
Letta, Alfano, Epifani. Lavoro, tasse, giustizia. Ognuno dei tre leader mette l’accento su una questione diversa. Il paradosso è che a Letta, premier politico ma che al tempo stesso deve mantenere un ruolo di garanzia, tocca fare anche il capo del suo partito, rivendicando i provvedimenti chiesti dal Pd. Se non ci fosse Letta a ricordare che nell’azione dell’esecutivo esistono altre preoccupazioni oltre a quelle di ammorbidire l’Imu (secondo le promesse elettorali di Berlusconi), gli interventi sui disoccupati e precari sembrerebbero «figli di nessuno».
L’ex segretario della Cgil, che pure è un sostenitore delle larghe intese, non riesce ancora a uscire dall’angolo dell’antiberlusconismo e appare incapace di intestarsi le mosse di carattere sociale approvate dal governo. Il passato barricadiero da sindacalista è ancora troppo vicino perché Epifani possa essere un leader politico convincente, preoccupato anche della «pars construens» oltre che di quella «destruens», cioè rivendicazionista e protestataria con la quale si riempiono i cortei. Non basta evitare la piazza per «serietà» per garantire sostegno a un governo che ne ha disperato bisogno soprattutto in questa fase di avvio.