Crollo della partecipazione al voto. E’ una vera frana quella che sta travolgendo il primo piccolo test elettorale dopo l’appuntamento nazionale di fine febbraio e la nascita del governo di larghe intese. Alle 22 di ieri l’affluenza alle urne era di circa 15 punti inferiore all’ultimo appuntamento corrispondente. Con un tracollo a Roma, l’amministrazione più importante: cinque anni fa si era al 57,2 per cento, ora al 37,7. Mettiamo nel conto il derby Roma-Lazio e la conseguente tensione che avrà tenuto lontana dai seggi una certa fetta di elettorato; resta il fatto che l’astensionismo fa registrare un aumento preoccupante.
Brutto segno per il governo Letta-Alfano, nato da un mesetto scarso? Difficile dare una risposta univoca. Alle urne è chiamato l’8 per cento del corpo elettorale nazionale, una quota poco significativa. Tuttavia devono scegliere il sindaco una serie di città importanti, oltre Roma. Brescia, grossa città industriale teatro degli scontri tra grillini e centri sociali prima e durante l’ultimo comizio di Berlusconi. Treviso, dove a 84 anni riappare lo sceriffo Giancarlo Gentilini per misurare lo stato di salute della Lega Nord. Siena, epicentro dello scandalo Montepaschi che coinvolge larghi settori dell’amministrazione cittadina. Pisa, la città del nuovo premier e del ministro Anna Maria Carrozza. Barletta, dove è in lizza l’ex portavoce del presidente Napolitano, Pasquale Cascella.
Letta non subirà scossoni dall’esito delle urne amministrative. I leader politici hanno fatto in modo di depotenziare il valore nazionale di questa consultazione, confinandola nei rispettivi ambiti comunali. E’ comunque evidente un dato: l’astensionismo in crescita significa che il governo Pd-Pdl-Scelta civica non scalda i cuori, e nemmeno i personaggi che i vari partiti hanno candidato. Le piazze piene a metà per i comizi romani la dicono lunga. Con Letta è tornata la politica, ma nella mentalità popolare non è cambiato ancora nulla. D’altra parte, per i partiti è difficile imbastire una campagna elettorale di contrapposizione frontale quando sono alleati al governo. Guglielmo Epifani, che ha preso il testimone di Pierluigi Bersani alla segreteria del Pd, appare come un burocrate spento e pedante, senza verve né idee. Silvio Berlusconi ha perso il potere di calamitare l’attenzione generale. L’effetto novità di candidati «civici» come Alfio Marchini a Roma è appena percepibile. 
Ma soprattutto sembra confermata la tendenza negativa per i grillini, già emersa «a caldo» alle elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia: l’incapacità di gestire con mosse politiche la messe di voti di febbraio allontana gli elettori a cinque stelle (nella regione al confine con la Slovenia i voti delle politiche si erano dimezzati in meno di un mese).

E i sostenitori del comico genovese, schifando gli altri partiti, vanno a ingrossare le file dell’astensionismo. Ciò conferma che Grillo a febbraio aveva fermato una certa emorragia partecipativa. Anche per lui, comunque, vale quanto si è sempre verificato nel centrodestra: buoni risultati quando in campo c’è il fuoriclasse Berlusconi, forte ridimensionamento a livello locale. Oggi vedremo se la giornata lavorativa consentirà di recuperare una parte dell’astensione e se la prevedibile flessione dei Cinque stelle precluderà loro la partecipazione ai ballottaggi. Un grillino al secondo turno di Roma, per fare un’ipotesi, al posto di Gianni Alemanno o di Ignazio Marino sarebbe comunque un risultato clamoroso. A quel punto che cosa faranno Pd e Pdl? Si scambieranno i voti, come farebbe presumere il sostegno al patto di governo, o si sgambetteranno a vicenda? La risposta a questo interrogativo è il vero test per la tenuta della «strana maggioranza».