Un disastro: impossibile definire altrimenti questi ballottaggi per il centrodestra. Il centrosinistra ha vinto ovunque, e con margini che non ammettono repliche. È vero, c’è stata un’astensione altissima che rende questa tornata elettorale difficilmente paragonabile con qualsiasi altra. E ciò potrebbe indurre a ragionare non più di democrazia, cioè governo del popolo, ma di post-democrazia, in cui il numero dei votanti rasenta la minoranza, essendo pericolosamente vicino al 50 per cento degli aventi diritto. O addirittura di oligocrazia, governo dei pochi.

È inoltre vero che questo test amministrativo era limitato. Tuttavia si è votato nella capitale e in numerose altre città, ciascuna a suo modo simbolica. Siena è teatro di uno dei maggiori scandali finanziari degli ultimi decenni, quello del Montepaschi, tutto interno alla sinistra. Treviso è la roccaforte del primo sindaco-sceriffo padano, quel Giancarlo Gentilini che nei primi anni 90 ha trasformato la Lega da una falange di utopici indipendentisti nel partito dell’ordine, della sicurezza, della legalità. Brescia è una delle capitali industriali del Nord, terra di benessere operaio, approdo per migliaia di stranieri. Imperia è la patria di uno dei luogotenenti storici di Silvio Berlusconi, cioè Claudio Scajola. Ancona ospita un tessuto di piccola imprenditoria artigiana paragonabile a quella del Nordest particolarmente colpita dalla crisi.

Ebbene, la sinistra ha vinto ovunque. Non c’è terreno in cui non abbia prevalso. Era già osservabile nel primo turno il paradosso di un centrodestra che puntella con responsabilità il governo, cresce nei sondaggi su scala nazionale, tuttavia non concretizza questa (presunta) supremazia nelle urne locali. E il Pd, che sembrava uscito con le ossa rotte dalla partita per il Quirinale, mostra una vitalità territoriale inaspettata. La sinistra esulta, a buon diritto, ma dovrebbe analizzare bene l’esito del voto perché il suo segreto sta nello zoccolo duro di elettori che l’astensionismo dilagante non è in grado di erodere. Significa che nemmeno dalle parti di Bersani e Letta c’è la vitalità capace di attrarre consensi nuovi.

Roma è il dato più eclatante: Gianni Alemanno è durato un solo mandato, le speranze riposte in lui di un cambiamento radicale nell’amministrazione della capitale sono andate deluse. Così Adriano Paroli a Brescia ha ballato una sola stagione dopo essere stato eletto trionfalmente al primo turno cinque anni fa. Gli elettori di centrodestra confermano una tendenza assodata: alla delusione corrisponde la disaffezione. Non raddoppiano gli sforzi ma disertano il voto. Non si rivolgono ad altre offerte politiche, non trasmigrano verso i centristi, e men che meno i riformisti del centrosinistra: mal digeriscono il sostegno a un governo di larghe intese, per giunta guidato da un democratico. Semplicemente ingrossano le file dell’astensionismo.

Ma nel crollo dei berlusconiani non c’è soltanto il venire meno delle aspettative. Il centrodestra perde pesantemente al Nord. La Lega precipita a Treviso, dove Gentilini ha governato per dieci anni come sindaco e per altri dieci come vice di Giampaolo Gobbo, proconsole bossiano nel Nordest. E il Pdl cade a Brescia, Lodi, Imperia, Sondrio. Sembra che il partito di Berlusconi abbia perso il contatto con queste realtà, che parli un linguaggio vecchio e incomprensibile nel locomotore produttivo del Paese. Nemmeno le parole d’ordine sulle tasse sembrano essere più efficaci, mentre funziona il costante richiamo della sinistra al lavoro, all’ambiente, alla coesione sociale.

È un dualismo che si riflette nel governo. Mentre il Pdl insiste sul calo delle tasse (Iva e Imu), il Pd batte il chiodo della disoccupazione. Ed entrambi lasciano in secondo piano la rete di piccole imprese, vero tessuto connettivo dell’economia italiana, che quattro mesi fa hanno dato fiducia a Grillo (anche se avrebbero preferito il partito di Oscar Giannino) e ora non sanno più a quale santo votarsi perché i 5 Stelle si rivelano nella loro inconsistenza. 

Intere fette di elettorato sono prive di rappresentanza politica. Un bell’esame di coscienza dovrebbero farlo tutti, vincitori e vinti.