Si chiude l’ultima campagna elettorale di questa prima parte del 2013. Gli ultimi ballottaggi di una stanca stagione politica segnata dalle larghe intese, dal grillismo in altalena e dal dilagare dell’astensione. 

In pochi mesi è mutato radicalmente il quadro politico nazionale. Dalla contrapposizione frontale, i due maggiori partiti sono «costretti» a coabitare in una strana maggioranza nella quale lasciare decantare anni di conflitti. In Parlamento ha fatto irruzione il Movimento 5 Stelle, una forza politica sgangherata, impreparata, irresoluta al momento di decidere, i cui rappresentanti sono stati selezionati con criteri atipici, e che comunque esprime efficacemente la confusione che regna tra gli italiani. Sono spariti ingloriosamente personaggi che calcavano da decenni il palcoscenico della politica come Fini e Casini. La spinta partecipativa ha lasciato campo libero alla disillusione, alla protesta, al rifiuto della politica materializzato in un astensionismo che sfiora il 50 per cento.

Il ballottaggio di domani potrebbe aggiungere altri elementi paradossali a questa situazione così atipica. I sondaggi dicono che il Pdl è in crescita: i berlusconiani approfittano dello sbandamento del Partito democratico e dell’inconsistenza grillina. Eppure il Pdl potrebbe perdere il sindaco di Roma, e non solo. Gianni Alemanno parte con uno svantaggio forse incolmabile rispetto a Ignazio Marino, candidato della sinistra. Marino è un medico e ricercatore genovese, figlio di padre siciliano e madre svizzera, che ha lavorato a Palermo e negli Stati Uniti, e con Roma c’azzecca poco; ha un parlare ingessato e una figura priva di gestualità, è forbito e sempre ammodo: insomma, è tutto l’opposto di un personaggio della Roma ruspante e popolare.

Silvio Berlusconi si rimprovera ancora di non aver forzato la situazione mettendo in un angolo Alemanno per candidare, al suo posto, qualche personaggio più sanguigno come Giorgia Meloni. Almeno in questo, il Pdl non è cambiato: forte nei sondaggi, debole quando deve presentare candidature locali. E non c’è soltanto Roma a preoccupare il Cavaliere. 

Anche Brescia, trionfalmente conquistata cinque anni fa al primo turno con il deputato Adriano Paroli, è gravemente a rischio. Brescia è una città chiave per il Pdl, ricca, popolosa, industrializzata, snodo dei cattolici democratici e della «finanza bianca». Al primo turno Paroli e l’avversario del Pd, Emilio Del Bono, erano staccati da un pugno di schede: il ritorno alle urne è uno spareggio dall’esito imprevedibile, soprattutto se sarà confermato il crollo della partecipazione.

I ballottaggi preoccupano Silvio. Ma in cima ai pensieri del Cavaliere c’è in realtà il 19 giugno, giorno in cui la Corte costituzionale si pronuncerà sul ricorso riguardante il processo Mediaset, nel quale Berlusconi è stato condannato in primo e secondo grado a quattro anni di reclusione (tre condonati) e soprattutto all’interdizione per un quinquennio. Se il ricorso sarà accolto scatterà la prescrizione perché bisognerebbe rifare il processo; diversamente la parola passerà alla Corte di Cassazione che entro il 2014 emetterà il verdetto definitivo.

Ma entro giugno altri due appuntamenti con la giustizia attendono il quasi settantasettenne leader del Pdl: la sentenza di primo grado del processo Ruby e il pronunciamento della Cassazione sul lodo Mondadori con l’astronomica penale versata a Carlo De Benedetti. Colpito sul versante giudiziario e su quello finanziario, Berlusconi ha di fronte a sé un futuro gravido di incertezze. In ogni caso, nulla sarà più come prima. E i risultati di questo ballottaggio potrebbero rappresentare un «aperitivo» poco gradito a Berlusconi e ai suoi.