Ci sono di mezzo un amico di Berlusconi, una questura, un intrigo internazionale. Mancano soltanto la telefonata del Cavaliere e un pizzico di bunga-bunga ed ecco servita la riedizione di uno scandalo che fa tremare la politica italiana. Moglie e figlia di un ricco dissidente del Kazakhstan (inseguito da un mandato di cattura internazionale che l’Interpol non può eseguire in Inghilterra dove l’uomo è rifugiato) espulse in gran fretta dall’Italia sulla base di informazioni lacunose. Tre ministri-chiave (il vicepremier Alfano, Interni; Bonino, Esteri; Cancellieri, Giustizia) convocati dal premier Letta per cercare di capirci qualcosa e di uscirne nel modo meno disonorevole possibile. Un polverone che si alza ad avvolgere Silvio Berlusconi proprio nel giorno in cui il leader del Pdl rilascia un’intervista al Giornale di casa (ma sensibile alle personalità più oltranziste tipo Santanché) in cui professa moderazione e responsabilità a favore del governo Letta e a onta dei falchi e degli «urlatori» che vorrebbero portare il popolo del centrodestra in piazza contro i giudici.

L’imputato numero uno è Alfano, cui sarebbero mancati elementi importanti per valutare la vicenda. Le ministre Bonino e Cancellieri scaricano su di lui e i suoi sistemi (dis)informativi. Lui tace. Sel e grillini preparano una mozione di sfiducia individuale e settori del Pd meditano se accodarsi. Nel Pdl è già scattata la controffensiva preventiva: chi tocca Alfano fa cadere il governo, è il «refrain» che parecchi hanno cominciato a ripetere. A sinistra ribattono con il solito argomento: c’è di mezzo Berlusconi. Alfano coprirebbe l’amicizia tra il Cavaliere e il dittatore kazako Nazarbayev che ha messo nel mirino il finanziere dissidente e la sua famiglia.

È l’ex pm veneziano Felice Casson a uscire allo scoperto parlando di «ombra di Berlusconi» sullo scandalo internazionale. Ma paradossalmente il Pd sembra più in imbarazzo del Pdl a gestire in questi ultimi giorni le faccende legate all’ex premier. Il centrodestra fa muro a difesa del leader. Il centrosinistra invece si scompone, non trova un’unità di azione, si dibatte tra quanti non vedono l’ora di recidere il vincolo delle larghe intese e coloro che non se la sentono di far cadere il governo di Enrico Letta, che fino a prova contraria è uno dei loro.

C’è chi vuole l’incompatibilità per Berlusconi riconosciuto colpevole. Chi baratta l’ineleggibilità con l’abbandono dell’impero economico-finanziario. Chi valuta, come lo stesso Casson, il momento «non propizio» per regolamentare il conflitto d’interessi. E chi, come Matteo Renzi, attende seduto lungo le rive dell’Arno che il partito imploda, che magari salti in aria anche il Pdl, per scendere in campo e rastrellare voti di qua e di là sulle ceneri dei vecchi «ex partiti».

A ogni imprevisto che si presenti, gli alleati nel governo di larghe intese marcano sempre più le distanze. E al loro stesso interno evidenziano le carenze di linea politica: il centrosinistra è spaesato in attesa del congresso e delle mosse di Renzi, il centrodestra teme di perdere Berlusconi e ora anche Alfano mentre si prepara a cambiare pelle facendo risorgere Forza Italia. Ma l’attacco al vicepremier è anche un colpo a quel mondo riformista che è la vera anima del governo Letta, il fronte trasversale che comprende le «colombe» del Pdl, i moderati del Pd e ciò che resta di Scelta civica. Il timoniere Enrico Letta tiene la barra ma da lui ci vorrebbe un guizzo di vitalità in questa fase sempre più complicata.