Da varie parti si sta facendo il paragone tra il caso Berlusconi e il caso Sallusti, il direttore del Giornale che – condannato l’anno scorso per diffamazione a 14 mesi di reclusione in via definitiva – ha ottenuto dal capo dello Stato la commutazione della pena detentiva in una pecuniaria. Si dice che il presidente Napolitano potrebbe ripercorrere questa strada per restituire agibilità politica a Silvio Berlusconi. Si dice – e si scrive – che gli ufficiali di collegamento tra il leader del Pdl e il Quirinale stiano lavorando su questa ipotesi.

Errore. Non è questo il precedente su cui ragionano le «diplomazie» dei palazzi romani. Napolitano non può intervenire con i poteri conferitigli dall’articolo 87 della Costituzione perché una parte della pena, quella relativa alla durata dell’interdizione dai pubblici uffici, non è ancora determinata. Quindi niente «pista Sallusti» per Berlusconi. Resta però in piedi un’altra possibilità già percorsa in passato, cioè la «pista Jannuzzi». Lino Jannuzzi, mentre era senatore di Forza Italia, fu condannato in via definitiva per una diffamazione a mezzo stampa risalente a quando faceva il giornalista. Dopo un iter molto travagliato, il Tribunale di sorveglianza di Milano lo pose agli arresti domiciliari con la possibilità di uscire dalle 8 alle 19 per svolgere il mandato di parlamentare. Trattandosi di un reato di opinione, dopo mesi in questa situazione il presidente Ciampi gli concesse la grazia.

Benché agli arresti domiciliari, il giudice di sorveglianza potrebbe concedere sufficiente libertà di azione a Berlusconi per consentirgli di non sparire dalla scena politica per opera della magistratura. Esistono tuttavia non solo analogie, ma anche differenze di peso tra il caso Jannuzzi e il caso Berlusconi. Il reato di diffamazione è un reato di opinione, diverso dalla frode fiscale. E soprattutto Jannuzzi non fu fatto decadere dal seggio di Palazzo Madama. Proprio in virtù del fatto di essere rimasto al Senato, Jannuzzi ottenne un trattamento che gli consentiva di fare il suo lavoro.

Questo è il punto: mantenere il posto in Senato. Ci riuscirà Berlusconi? Faccenda intricatissima. E risposta a oggi impossibile. Si incrociano questioni giuridiche (l’interdizione in sospeso e la «legge Severino» tutta da interpretare) e manovre politiche (l’insofferenza crescente del Pd e dei grillini verso un Berlusconi condannato in via definitiva ma ancora presente in Parlamento). E si inserisce anche la sopravvivenza del governo, così cara a Napolitano.

Qual è dunque il ruolo che le staffette del Pdl chiedono al presidente di svolgere? Se non può concedere la grazia né commutare la pena, che cosa può fare il capo dello Stato? 

Può essere il garante di un accordo tra Pd e Pdl che abbia come perno la permanenza di Berlusconi in Parlamento, nonostante la sentenza definitiva. Se il Senato non votasse la decadenza, il Cavaliere condannato potrebbe avere buon gioco nell’ottenere un trattamento analogo a quello riservato a Jannuzzi.

Ma prima del voto del Senato sulla decadenza (la giunta per le elezioni di Palazzo Madama tornerà a riunirsi a metà settembre), viene l’accordo sull’Imu. E il Pdl, a quanto si capisce, accetterà una soluzione per la tassa sugli immobili se sarà stato raggiunto un patto d’acciaio anche sulle garanzie per Berlusconi. In questo intreccio di scadenze, Napolitano dovrebbe fare da garante della doppia intesa eventualmente raggiunta. Al momento qualsiasi previsione è prematura. Il silenzio di Berlusconi lascia intendere il lavorio degli «sherpa» alla ricerca di una mediazione. Ma la frenesia di riesumare Forza Italia fa capire che ci si prepara a ogni evenienza.