Seduto lungo la riva del fiume – forse la Martesana, l’unico corso d’acqua che attraversa il territorio di Arcore -, Silvio Berlusconi attende che galleggiando sulle acque passi il cadavere del governo Letta. Il suo obiettivo, cioè arrivare quanto prima alle elezioni, sembra più facilmente raggiungibile lasciando il pallino in mano a Matteo Renzi. Che anche ieri, sul Corriere della Sera, ha assestato un altro scossone all’esecutivo. “Enrico non si fida di me, il governo può arrivare al 2015 ma non in queste condizioni”, ha detto il segretario del Partito democratico. Perfino il Colle, secondo Giuliano Ferrara, si sarebbe accorto che il governo ha il fiato cortissimo e mediterebbe un cambio di cavallo.
Dunque, perché accanirsi contro il governo quando c’è già chi lo fa, e con mezzi assai efficaci? Il movimentismo del Cavaliere si è così trasformato in attendismo. Il “lavoro sporco” di logorare Palazzo Chigi è stato appaltato al rottamatore. Berlusconi parla, chiama durante le riunioni dei club, tiene comizi telefonici, ripete le stesse cose da settimane, ma non compie nessuna mossa concreta. Potrebbe essere una situazione di favore per la rinata Forza Italia, una mini traversata del deserto nella quale riordinare le truppe e prepararsi al nuovo assalto, il più difficile nei vent’anni di presenza politica di Berlusconi, perché lui stavolta non potrà più metterci la faccia. Nonostante i proclami, candidarsi gli sarà precluso. Si tratta invece di ricostruire il partito, lanciare i club azzurri e soprattutto azzeccare il volto nuovo.
In realtà l’attendismo nasconde una realtà disarmante. Berlusconi, l’uomo-partito, il demiurgo dei tempi moderni, è prigioniero della vecchia politica, degli intrighi interni, delle gelosie e dei veti incrociati, e della sua sostanziale irresolutezza. Sembrava che essersi liberati di Angelino Alfano e delle sue truppe filogovernative garantisse una maggiore coesione interna a Forza Italia. Errore, lo stesso errore commesso da Enrico Letta il quale credeva che senza Berlusconi il governo avrebbe marciato più spedito, mentre da allora non ne azzecca più una.
Berlusconi è seduto sulla riva del fiume perché non sa che cosa fare. Il destino del povero Giovanni Toti, bi-direttore del Tg4 e di Studio Aperto che sta per essere immolato, è esemplare. Da tempo si parla di lui come uomo del rilancio: volto televisivo, faccia pulita, niente scheletri nell’armadio. La sua nomina era quasi ufficiale. Ma la vecchia guardia ha posto il veto. E ora anch’egli si è fatto indietro perché senza la piena investitura di Berlusconi tutto è inutile.
L’attendismo di Forza Italia è frutto di una paralisi, non di una strategia d’azione. Delle tre ipotesi di riforma elettorale proposte da Renzi, nessuna è ancora stata fatta propria da Berlusconi e dai suoi. Ora sembra che la preferenza cada sul sistema spagnolo, quello che richiede tempi più lunghi nell’approvazione (c’è da rifare tutti i collegi). Maria Elena Boschi ha rivelato ieri che Renzi ha sentito al telefono Denis Verdini. È sempre il sindaco di Firenze che impugna il pallino e tiene aperto il canale di collegamento con il maggiore partito del centrodestra, mentre Berlusconi gioca di rimessa.
Il Cavaliere spera che Renzi metta finalmente in agenda anche un incontro con lui entro la settimana, dopo aver visto Letta. Sarebbe un ritorno sul proscenio alla grande, legittimato dal leader del partito che è stato determinante per allontanarlo dal Senato. Prima lo cacciano, poi lo cercano perché hanno bisogno di lui, dei voti dei suoi parlamentari. Sarebbe la rivincita di Silvio. Ma Renzi è prudente, perché è convinto che un’eventuale voto anticipato a breve riavvicinerebbe il centrodestra ora diviso, tanto più che gli alfaniani non corrono alle regionali in Sardegna.