Per nulla intimorito dalla reprimenda di Ezio Mauro, il premier replica colpo su colpo. Evidentemente si sente punto sul vivo. L’accusa di aver confuso i nemici, aver archiviato il patrimonio storico della sinistra italiana e aver smarrito il senso della rappresentanza dei lavoratori brucia. Matteo Renzi però non mette nessuna retromarcia. A Repubblica scrive una lettera in cui continua a martellare contro il sindacato e la “vecchia sinistra”. Rivendica «con fierezza e orgoglio l’appartenenza del Pds», non ovviamente quella al Pci, e alla sinistra “senza il centro” simboleggiata dall’adesione piena al Partito socialista europeo. E mentre tutti i sondaggi lo danno in caduta, usa il dato elettorale delle europee (11 milioni di voti) come un antidolorifico.
Fin qui sono frasi dovute. Ma il senso della lettera di Renzi sta dove picchia di nuovo contro la sinistra interna e il sindacato. «Qualcuno ci deve spiegare perché con tutto l’articolo 18 abbiamo una disoccupazione a doppia cifra che cresce in questo paese». Già, ma Renzi dovrebbe spiegare come mai la disoccupazione continua ad aumentare nonostante quasi un anno di suo governo. E poi: chiudendo la campagna elettorale del Pd in Emilia Romagna, «il passaggio più sentito è stato quello sul sindacato che non ha manifestato contro la Legge Fornero e oggi manifesta contro il Jobs Act. E avevo davanti una platea di militanti e dirigenti, molti dei quali vengono proprio dalla storia profonda della sinistra italiana».
Repubblica ha centrato il punto. Come una moglie tradita, ha messo il marito fedifrago di fronte all’aut-aut. O me o l’amante. E Renzi è più vicino a Berlusconi che alla Camusso, agli operai Fiom, alla minoranza interna del Pd. La quale ancora ieri (con Cuperlo e Fassina) ha ripetuto che il Jobs Act così com’è non lo vota.
Nel calo di consensi democratici registrato nelle ultime settimane, si delinea un cambio di scenario. Finora è sembrato che il patto del Nazareno servisse più a Berlusconi che al premier, come ultima ancora di salvezza per non restare escluso dai giochi delle riforme e del Quirinale. Ora invece il difensore più accanito è proprio Renzi. Il segretario Pd si rende conto che senza Berlusconi non va da nessuna parte, rimane nella palude che aveva paralizzato Enrico Letta per il motivo opposto. «Il Pd ha chiara la differenza tra maggioranza e opposizione così come ha chiaro che le regole del gioco si prova a cambiarle assieme per poi tornare a dividersi su tutto il resto», scrive Renzi per scongiurare il rischio di uno «status quo proporzionalistico». Ma non sarà così, perché egli con Berlusconi non cambia solo le «regole del gioco»: oltre alla legge elettorale, ci sono le riforme istituzionali, gli abboccamenti sul Jobs Act e soprattutto la scelta del nuovo capo dello Stato.
Berlusconi, ieri impegnato a catechizzare i giovani azzurri a Villa Gernetto, è stretto tra la pressione di Renzi a fare presto e le sirene che arrivano dai gruppi minori del centrodestra. Alfano fa balenare l’ipotesi di una lista unica con Forza Italia e Fratelli d’Italia che possa andare al ballottaggio con il Pd, mentre la Lega marca il suo distacco anche se ha imposto un suo candidato a tutto il centrodestra per le regionali in Emilia Romagna. Il Cavaliere pare tentato di non darla vinta a nessuno e andare a votare con il proporzionale disegnato dalla sentenza della Consulta, il sistema elettorale che danneggia meno Forza Italia.
Una prima indicazione verrà dalle regionali di oggi in Calabria e soprattutto in Emilia, dove il rinnovato asse Forza Italia-Lega Nord deve dimostrare di poter reggere. Ma vista la campagna elettorale molto tiepida fatta dagli azzurri in una regione dove il Pd soffre (non dimentichiamo che si vota dopo le dimissioni di Errani legate a scandali regione-coop rosse), c’è da chiedersi se il Cav non abbia deliberatamente boicottato il candidato leghista. A febbraio gli scadono i servizi sociali e lui è pronto a ritornare in sella.