Come lo chiameremo? Lira o doblone, franco o marco (con la minuscola), fiorino o zecchino? Oppure quattrino (visto che lui si ritiene già uno e trino)? Silvio Berlusconi ha detto al No-tax day di Milano, al telefono da Arcore, di valutare l’ipotesi di introdurre una seconda moneta a fianco dell’euro per liberarsi dalla schiavitù della valuta unica. Il leader di Forza Italia non è «un po’ stanchino» come Beppe Grillo e la fantasia gli galoppa a briglia sciolta.



Il vero messaggio Berlusconi l’aveva lanciato attraverso le pagine del Corriere della Sera parlando di Quirinale e dintorni. Qui il Cavaliere non si è fatto prendere la mano da voli pindarici. Ha distribuito segnali, alcuni più chiari, altri da decrittare. Ha ripetuto che per il Colle auspica «una persona non di parte, che non venga da una parte sola». Il che significa che Forza Italia non voterà un nome sul quale Renzi metterà il «prendere o lasciare». Ci vuole condivisione. Tra le righe si potrebbe anche leggere un «no» a un tesserato Pd, per esempio ad Anna Finocchiaro che nel toto-Quirinale figura sempre ai primi posti perché sembra gradita a Gianni Letta. Non parliamo dei soliti Veltroni, D’Alema, Pinotti, Bonino e quant’altre.



Il nome di Berlusconi è Giuliano Amato. E qui la nebbia s’infittisce. Vuole bruciarlo o ci crede davvero? Di solito quando si lancia un nome con un certo anticipo lo si vuole impallinare, ma con Amato può valere anche il contrario. È un uomo che Berlusconi conosce bene fin dai tempi dell’amicizia con Bettino Craxi. È oggi un giudice costituzionale, quindi «persona non di parte» ma delle istituzioni. È il candidato sponsorizzato da Giorgio Napolitano l’anno scorso ma che non è stato sacrificato nel falò dei veti incrociati del Pd. In questo senso, è come se il leader degli azzurri si rivolgesse direttamente al presidente semi-dimissionario tranquillizzandolo.



Se nei prossimi giorni il nome di Amato non fosse immediatamente affossato, e quindi indirettamente la candidatura prendesse corpo, ciò potrebbe addirittura abbreviare i tempi dell’addio di Napolitano al Colle. Amato è un vero candidato per il Quirinale e Berlusconi fa sapere a Renzi che non sarà il centrodestra a impallinarlo. Se Renzi ci sta, l’accordo si può fare. In caso contrario, la responsabilità di aver bocciato un nome tutt’altro che sgradito a Napolitano sarà tutta a sinistra, in particolare del premier che nemmeno al Colle vuole gente che gli fa ombra. E si aprirebbe un Vietnam.

Così, il secondo destinatario dei messaggi in bottiglia di Berlusconi è Matteo Renzi. «Prima mettiamo in sicurezza il Quirinale poi ci dedichiamo a fondo alle riforme» dice il Cavaliere al Corriere. È la conferma che — almeno nella mente di Silvio — il Patto del Nazareno non riguarda soltanto il sistema elettorale. 

Anzi, in una fase di grande instabilità in cui lo stesso Renzi ritiene che il Patto stia scricchiolando, Berlusconi propone un modo per metterlo in sicurezza come si fa nei cantieri edili pericolanti. Una serie di puntelli per poi procedere con i lavori.

L’ex premier vuole prendere dunque il compito di king-maker della situazione politica. Non potendo avere ambizioni personali, Berlusconi vuole il ruolo che si è proposto anche in Forza Italia: giocare a centrocampo, fare il regista, distribuire assist ai goleador di turno. Insomma, Silvio vuol fare il Pirlo.

C’è un piccolo problema. Un regista deve avere la squadra che gioca per lui. Ma in questo momento Forza Italia è tutto fuorché un partito compatto dietro il suo leader. Berlusconi al Corriere sfiora appena il tema del dissenso interno. Se non tenesse sotto controllo la fronda di Fitto, sarebbe lui, Silvio, ad affossare Amato e provocare la guerriglia parlamentare. Sarebbe la vera fine del Pirlo della politica.