È come nella favola dei vestiti nuovi dell’imperatore: qualcuno urla l’evidenza («il re è nudo») e scoppia la bagarre. Stavolta non si tratta né di un monarca, ma del presidente Giorgio Napolitano, né dei suoi abiti quirinalizi. La questione riguarda le dimissioni da capo dello stato. Cosa che aleggiava nell’aria da mesi. Egli stesso aveva detto all’atto della rielezione che legava il secondo mandato al varo di una serie di riforme, in testa la legge elettorale tornata alla ribalta proprio in questi giorni. Si era anche capito che non avrebbe lasciato il Colle prima che terminasse il semestre italiano di presidenza europea, che si chiuderà tra 50 giorni nell’indifferenza generale (qualcuno si è forse accorto che stiamo guidando il Consiglio dei ministri Ue?).



Da settimane si trascina un altro tormentone, quello di chi chiede vengano svelati i dettagli del «patto del Nazareno» tra Renzi e Berlusconi. Quell’accordo, che l’altro giorno il premier a Milano ha definito «scricchiolante», conterrebbe anche un capitolo sul nuovo inquilino del Quirinale. Dunque, le dimissioni di Napolitano sono da tempo all’ordine del giorno. Ma è bastato che Repubblica dichiarasse ieri «la certezza che la decisione del presidente è presa» per dare un’accelerata al quadro politico. Il 31 dicembre, nel nono e ultimo discorso di fine anno, l’89enne Napolitano farà capire che abdicherà nell’arco di poche settimane. Dal Colle nessuna smentita a Repubblica, da Renzi un semplice «Napolitano resta una garanzia per il Paese».



Non è un caso che la notizia si diffonda mentre la legge elettorale ricompare in scena e Forza Italia si lecca le ferite dopo la batosta della mancata elezione del «suo» rappresentante in seno alla Consulta. Matteo Renzi ha giocato una partita molto spregiudicata. Nel momento in cui Berlusconi ha frenato sulla riforma elettorale, il premier ha stretto un accordo con i grillini facendo intendere che essi potrebbero sostituirsi a Forza Italia nel fare approvare le riforme volute dal Colle.

Il segnale di Renzi al Cavaliere era chiaro: le riforme vanno fatte perché Napolitano intende mollare, se ti ritiri dalla partita ti trovi fuori dai giochi anche nell’elezione del nuovo presidente, che potrebbe essere una figura come Romano Prodi. Bluff o minaccia reale? Renzi preferisce Berlusconi come interlocutore, affidabile al contrario di Grillo. Ma quello che è già successo una volta (l’accordo con il M5S) potrebbe ripetersi ancora. E Berlusconi non può fare la figura di quello che si oppone al nuovo sistema elettorale, anche se nefasto per lui. Perché, con tutta probabilità, il premio alla lista anziché alla coalizione condannerà Forza Italia a ridimensionarsi come terzo partito dietro il Pd e il M5S.



Un prezzo altissimo per il Cavaliere, e tuttavia necessario da pagare per evitare l’emarginazione, avere voce in capitolo anche nel dopo-Napolitano ed essere abbastanza sicuro che l’assetto radiotelevisivo non sarà stravolto. 

Si è detto che Renzi volesse imbarcare i grillini e che Berlusconi volesse rompere con Renzi nel timore di elezioni anticipate. In realtà i due hanno sempre più bisogno l’uno dell’altro. Devono agitare lo spettro del M5S per domare le resistenze interne, uno per resistere alla guida del Paese, l’altro per non sparire del tutto. Si conferma che il cuore del «patto del Nazareno» sarà proprio il nome del nuovo presidente. E ciò rappresenta la garanzia migliore che non ci saranno elezioni in primavera: difficilmente un neoeletto capo dello stato manderà a casa coloro che lo hanno appena issato sul Colle.