Un altro sondaggio che dà Matteo Salvini in crescita: l’ha scritto Repubblica ieri. Il segretario leghista è in piena corsa e salirà ancora. Ilvo Diamanti stima che lui e Renzi sono gli unici politici italiani che superano il 30% nella classifica della fiducia degli elettori verso i leader politici. Dietro di loro compaiono Giorgia Meloni e Maurizio Landini mentre Silvio Berlusconi e Beppe Grillo arrancano attorno a un gradimento del 20%. Per Salvini questo risultato personale si tradurrebbe in un 13% di voti in caso di elezioni, alle spalle di Forza Italia ma sempre lontano dal Movimento 5 Stelle che rimane il secondo partito italiano con il 19%.
Salvini miete consenso con una Lega che ha ben poco da spartire con il Carroccio di Umberto Bossi. Il Senatur era secessionista mentre Salvini è nazionalista, come conferma l’avvicinamento al Front National di Marine Le Pen. Bossi metteva il Nord contro il Sud e “Roma ladrona”, mentre l'”altro” Matteo addirittura fonda un nuovo movimento per raccogliere voti nelle regioni del Mezzogiorno. Bossi parlava con i gesti evocativi delle ampolle, i riti celtici, le liturgie padane e simil-pagane; Salvini invece taglia corto con il folclore indipendentista e usa il linguaggio del popolo, agita le paure sull’immigrazione, combatte i diktat dell’Europa, fa un’opposizione netta al governo Renzi, non si mescola con i compromessi e le conquiste a metà che sono costati cari alla Lega prima maniera. Da Salvini si sentono proclami sulle case popolari, l’euro, i centri di accoglienza, gli studi di settore, ma nemmeno una parola sul federalismo fiscale, la libertà della Padania, le utopie di Pontida. E se il Carroccio di Bossi era un partito identitario, quello dell’attuale segretario è un partito personale che al Centro-Sud si chiamerà appunto “Noi con Salvini”.
Ma la nuova Lega è diversa anche da quella di Roberto Maroni, che è stata una fiammata breve: il partito dei buoni amministratori, dei sindaci (Tosi) e dei governatori (Zaia e Cota) dai quali tutti avrebbero dovuto prendere esempio. Tosi ha tentato di costruire una Lega “dialogante”, aperta a realtà civiche, capace di tessere rapporti ad ampio raggio. Sabato, per esempio, il sindaco di Verona era a un convegno con Mario Mauro e il professor Luca Antonini mentre è ospite fisso delle presentazioni del libro Io siamo di Corrado Passera. Su questa ipotesi aperturista Tosi aveva cercato di lanciarsi come candidato a eventuali primarie del centrodestra: un tentativo velleitario, ormai stroncato all’interno stesso del suo partito.
Salvini è invece un Grillo più strutturato, uno che urla e sbraita, provoca (come quando andò al campo rom di Bologna cercando, e trovando, lo scontro fisico), parla alla “pancia” dell’elettorato che non ama ragionamenti e sottigliezze.
La sua Lega richiama voti da Forza Italia, un partito dilaniato dagli scontri interni e che ha lasciato al Carroccio la difesa del suo elettorato tradizionale: le partite Iva, il ceto produttivo e la classe media tartassata dallo stato e impaurita dalla crisi. Sempre più elettori di Berlusconi avvertono l’attrazione di un leader che rilancia molti dei temi su cui Forza Italia ha fatto fortuna.
Allo stesso tempo Salvini rosicchia consensi a un Grillo sempre più inconcludente. Al contrario dei 5 Stelle, incapaci di superare la fase della protesta, la Lega appare in grado di influire su riforme, legge di stabilità e altre normative, e si mostra più credibile dei portavoce grillini quando contesta l’euro o si scaglia contro “l’invasione dei clandestini”. Salvini ha lanciato una vera Opa sul centrodestra senza parlare il “politichese” di primarie, alleanze, coalizioni e alchimie elettoralistiche.
Ma Matteo S. saprà diventare una vera alternativa a Matteo R.? Una interessante cartina di tornasole sarà come i due si muoveranno nella partita a scacchi del Quirinale. Lì si vedrà se Salvini ha dalla sua soltanto l’efficacia di slogan e argomenti di facile presa, oppure anche l’abilità dello stratega.