Era partita come un’inchiesta che aveva nel mirino la destra: le figure di Massimo Carminati (arrestato), ex terrorista dei Nar che conta già alcune condanne sulla fedina penale, e di Gianni Alemanno (indagato), ex sindaco proveniente dalla cosiddetta destra sociale oggi confluito nei nostalgici di An che sono i Fratelli d’Italia, avevano polarizzato l’attenzione di giornali e tv nei primi giorni di clamore mediatico.

Il fascicolo sulle Terre di mezzo sta invece diventando un grosso problema per la sinistra, che ha suoi iscritti coinvolti, un sindaco in carica da quasi due anni che non si era accorto di quanto succedeva, e una rete di interessi simboleggiata dalla ramificazione degli appalti in capo a cooperative aderenti a Legacoop per la gestione dell’emergenza immigrazione. Questo blocco di potere e denaro è sicuramente più pericoloso che non la foto che ritrae Giuliano Poletti, ministro del Lavoro ed ex numero 1 della stessa Legacoop, seduto a cena accanto ad alcuni dei boss della “mafia del cupolone”.

Matteo Renzi da segretario democratico ha commissariato il partito romano imponendo come unica figura di riferimento il presidente del Pd, Matteo Orfini. Ma da premier, come ha fatto notare il Mattinale di Forza Italia, non ha proferito verbo. Come dire: è una questione romana, non nazionale, che coinvolge alcune mele marce (un tempo si sarebbero chiamati “compagni che sbagliano”) e non va generalizzata a livello di sistema complessivo. Proprio ieri il sottosegretario Luca Lotti, fedelissimo di Renzi, insisteva a ripetere che l’Italia non è tutto marciume e corruzione.

Intanto tutto il Paese parla soltanto della mafia romana, con qualche divagazione sui fattacci di cronaca nera avvenuti in Sicilia con vittime due bambini (Andrea Loris Stival e Denise Pipitone), e poco si occupa dell’azione di governo. Per esempio, del fatto che si sta operando uno svuotamento dei poteri del Senato oltre quanto ipotizzato (ieri la commissione Affari costituzionali della Camera ha votato di togliere a Palazzo Madama competenze sui temi etici). Oppure sulle misure contenute nella legge di stabilità, come l’ulteriore aumento dell’Iva, il rincaro dal 1º gennaio delle accise sul carburante, o la possibilità per i comuni di introdurre nuove tasse locali. Pochissimi ricordano che tra qualche giorno, il 16 dicembre, scadono i termini per saldare gli importi Imu e saranno dolori grossi.

Al Renzi premier non dispiace un po’ di polverone alzato come una nebbia che copre le stangate mascherate del governo. Ma al Renzi segretario Pd l’inchiesta di Roma fa ancora più comodo, perché può essere usata come pretesto per spazzare via una certa zavorra interna.

Azzerare le cariche, magari commissariare il comune della capitale, tagliare definitivamente i legami con le coop (che vengono visti come l’ultima cinghia di trasmissione con i sistemi della “vecchia politica”), promuovere un profondo repulisti interno a Roma e non solo: questa è un’occasione unica che le circostanze (chissà se davvero fortuite) offrono a Renzi per spazzare via un po’ di Pci-Pds-Ds dal suo Pd, in particolare quello legato all’ex sindaco Valter Veltroni, che vede così svanire ogni velleità di corsa verso il Quirinale, e agli altri capoccia locali.

Insomma, per Renzi non tutto il male vien per nuocere. Con la sua abilità a gestire i media, il presidente del Consiglio toglie attenzione dal governo in una fase cruciale, quella del giudizio delle autorità europee, per dirottarla sul malaffare e sulle questioni interne. Non è un caso che il parlamentare renziano Roberto Morassut ieri abbia chiesto di “setacciare il tesseramento del nuovo anno” e consentire “un tesseramento rigoroso e libero con quote stabilite sulla base del reddito”. Un’occasione per “de-comunistizzare” ulteriormente il Pd e “renzianizzarlo” il più possibile. Un colpo di spugna sui vecchi arnesi per fare largo alle nuove leve di fedelissimi che non fanno ombra al “caro leader”. Lo stesso metodo che Renzi vorrebbe applicare nello scegliere un candidato per il dopo-Napolitano.