Torna Silvio Berlusconi con il primo comizio dell’anno (in Sardegna, dove si vota tra 15 giorni) e porta con sé un classico del repertorio: gli attacchi a Giorgio Napolitano. Stavolta il «casus belli» è la legge elettorale, che pure il Cavaliere ha difeso fino all’altro giorno come una novità di importanza epocale. La colpa del capo dello Stato sarebbe quella di aver appoggiato la richiesta dei piccoli partiti di elevare la soglia percentuale che consente di ottenere il premio di maggioranza. Come si sa, questo sbarramento è salito dal 35% della prima bozza di accordo al 37%.
Berlusconi non ha mai apprezzato il ballottaggio perché, come dimostra il sistema elettorale dei sindaci, gli esclusi dal secondo turno generalmente votano contro di lui. Innalzare la soglia di sbarramento significa, di fatto, rendere inevitabile il ballottaggio e perciò, sia pure indirettamente, favorire lo schieramento antiberlusconiano. I sondaggi più recenti confermano l’incertezza degli elettori e il consolidamento dei tre poli (Pd, Forza Italia, M5S), con percentuali che allontanano l’ipotesi del premio di maggioranza «diretto» dopo il primo turno. Anche secondo Euromedia, l’istituto più vicino al centrodestra, né centrodestra né centrosinistra sfiorano il 35%, meno che mai il 37.
L’attacco a Napolitano si spiega con il fatto che Berlusconi ha necessità di allontanare da sé gli interrogativi sul perché ha accettato questo progetto di riforma elettorale. Dopo l’euforia iniziale, il centrodestra si rende conto di avere davanti una strada obbligata: ritornare al partito unico, riformare un Pdl-bis che punti direttamente al 37% del primo turno. Con grande difficoltà i partiti minori, a partire da Nuovo centrodestra, potranno superare il 4,5%. E ben più difficilmente si potrà dare vita a un «quarto polo» centrista in grado di traguardare il 12% che rappresenta lo sbarramento di coalizione.
Dunque, Forza Italia ha bisogno dei «piccoli» e viceversa, e sotto un unico simbolo che eviti la dispersione dei partitini. Tant’è vero che proprio ieri, con un’intervista a Repubblica, quella vecchia volpe di Pierferdinando Casini ha annunciato il rientro nei ranghi berlusconiani. E in alcune regioni, a partire dal Veneto, il Ncd comincia a perdere pezzi. Senza Forza Italia, i piccoli diventeranno portatori di voti che non si tradurranno in seggi. Senza i piccoli, Forza Italia si priva di una massa critica indispensabile per fronteggiare il centrosinistra, e anzi rischia di essere superata in corsa dai Cinque stelle. Di conseguenza, Berlusconi accusa il Colle non di aver favorito il Pd ma di aver rafforzato il potere di veto dei piccoli, che si ripropone al momento di formare le liste. Un potere molto più avvertito nel centrodestra che nel centrosinistra, dove Matteo Renzi consolida un’immagine di innovatore che supera le vecchie contrapposizioni ideologiche, mentre il centrodestra resta bloccato attorno a un leader che non si potrà presentare alle prossime elezioni.
È questa contraddizione interna al centrodestra, questo percorso tutto da costruire, che Berlusconi cerca di nascondere dirottando le polemiche su Napolitano. Una mossa imprevedibile, in quanto il presidente è già sotto il tiro dei grillini. Si ripropone dunque il dubbio, già emerso qualche settimana fa e poi accantonato, che l’opposizione parlamentare di M5S e Forza Italia abbia più punti di contatto di quanto appaia. Forse Berlusconi è pentito di aver dato il via libera all’Italicum, un pentimento che traspare da un’altra frase pronunciata al comizio di Cagliari: il Cavaliere ha detto che, se tornasse indietro, non rivoterebbe più Napolitano al Quirinale, visto anche la defenestrazione da Palazzo Chigi e la successiva cacciata da Palazzo Madama. Un pentimento, l’ennesimo ripensamento del Cavaliere. Un altro classico del repertorio berlusconiano. Che tuttavia stavolta farà molta fatica a non votare la legge elettorale che l’ha rimesso al centro della scena politica.