Nel giorno in cui il trentanovenne Matteo Renzi si presenta alle Camere per ottenere il voto di fiducia, il Corriere della Sera destina un’intera pagina a un’intervista con Giuliano Amato, l’indimenticabile “Dottor Sottile” che nel 1992 decise il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti bancari. Poche ore dopo l’intervista del sottosegretario Delrio che preannunciava l’aumento delle tasse sui Bot, potrebbe essere interpretata come l’avviso di uno dei tanti “ricorsi” che fanno la storia.
In realtà, questa intervista che per tre quarti si occupa di burocrazia, apparati amministrativi dei Paesi sviluppati e di come snellire la macchina dello Stato, è molto strana. Amato oggi è un giudice della Corte costituzionale, nominato da Giorgio Napolitano, e cerca di apparire lontano dalla politica. Ma le sue dichiarazioni sono piene di segnali politici. L’operazione è senza precedenti: i giudici costituzionali di solito si tengono lontani dai giornalisti, soprattutto su temi legati alla loro delicatissima azione di ultima istanza priva di appello. Gente come Zagrebelsky, Onida o Flick magari fremevano, ma tacevano.
Amato la prende alla lontana, dottoreggia di “rapporto tra economia e establishment burocratico”, cita Peter Drucker e Max Weber (“la burocrazia è l’espressione necessaria della razionalità dello stato rispetto all’arbitrio”), pontifica sul New Deal, rievoca “le grandi figure tra il politico e il burocratico che trasformarono l’Italia nei primi decenni del Novecento” per finire, però, nel nostro povero presente. “Ormai sono chiuso in convento, faccio il giudice costituzionale, non mi occupo di politica”, mette le mani avanti. Ma sdogana l’operazione Renzi (“credo molto al ringiovanimento”) e lancia un salvagente a Enrico Letta (“ha 47 e un grande futuro davanti, ne sono sicuro”.
In questa paginata c’è un secondo elemento che fa drizzare le antenne, oltre all’irritualità dell’intervista a un membro della Consulta: è che venga pubblicata sul Corriere della Sera, giornale che ha di fatto sfiduciato Letta con le anticipazioni del libro di Alan Friedman. Quel volume e gli articoli del Corriere hanno indebolito Napolitano, sorpreso a preparare il terreno per Monti con mesi di anticipo, e chiuso così la stagione dei “governi del presidente”. Infatti l’esecutivo di Renzi, pur reggendosi sulla stessa maggioranza di Letta, è radicalmente diverso nella legittimazione del premier. Monti e Letta sono stati collocati a Palazzo Chigi da Napolitano, Renzi vi è giunto con l’investitura del “popolo delle primarie” Pd e ha formato non un esecutivo di emergenza ma un governo politico, ben caratterizzato a sinistra, con un contorno di ministre e ministri di scarsa esperienza che lasciano al premier onori e oneri della ribalta.
All’atto della rielezione, Napolitano aveva fatto capire che non avrebbe completato il settennato. La caduta di Letta, con una crisi extraparlamentare, ha archiviato la stagione delle larghe intese e quindi anche il protagonismo del presidente, che ha avuto un colpo di coda nelle due ore e mezzo di colloquio con Renzi di venerdì per compilare la lista ministeriale.
La domanda, come diceva Antonio Lubrano, sorge spontanea: che Amato voglia iscriversi alla gara per la successione? Può vantare un buon rapporto con Napolitano, che l’ha mandato alla Consulta; è un “padre nobile” del Pd ma più distaccato di Romano Prodi; è un uomo delle istituzioni e con questa intervista si attribuisce il ruolo di “cerniera” tra vecchio e nuovo. E se davvero Renzi dovesse aumentare le tasse sui Bot, o piazzare una patrimoniale (che pare ben vista dal neoministro dell’Economia), Amato ha un curriculum perfetto da tassatore…