I primi sondaggi avevano tranquillizzato Matteo Renzi: vittoria al primo turno al centrodestra ma senza raggiungere la fatidica quota del 37%; ballottaggio tra il sindaco e il Cavaliere; vittoria renziana grazie al voto antiberlusconiano dei grillini esclusi dal gioco a due.

Poi lo scossone. Pierferdinando Casini fiuta l’aria, da vecchia volpe ex democristiana, e capisce che per lui, da solo, non c’è futuro. Ci sta prendere una bastonata alle spalle di Mario Monti, ma due di fila è troppo per uno come lui che non si sente ancora pronto per la pensione anticipata come Gianfranco Fini. Così il leader centrista salta il fosso e bussa al portone di Forza Italia. I guardaspalle del Cav urlano all’imbroglio del traditore che, senza vergogna, si finge figliol prodigo e torna a casa pur di non restare a casa.

Ma Berlusconi, che da politico non ha dimenticato l’arte di far di conto applicata da imprenditore, ha riaccolto Casini a braccia aperte. E i sondaggi hanno subito registrato la novità, al punto che secondo Nando Pagnoncelli (che ha preso il testimone di Renato Mannheimer sul Corriere della Sera) l’apporto di Casini farebbe balzare la coalizione di centrodestra oltre il 37%, quindi superamento dello sbarramento e premio di maggioranza conquistato al primo turno.

La mossa di Casini è il primo frutto dell’Italicum che il Parlamento ha cominciato a discutere. Vista l’impossibilità che un quarto polo centrista superi lo sbarramento del 12% per ottenere rappresentanza parlamentare, e vista l’estrema difficoltà ad attingere il 4,5% grazie alla frammentazione di quell’area, l’ex presidente della Camera non ci ha pensato due volte. Con soglie di sbarramento così alte, di fatto l’Italicum favorisce non le coalizioni ma il ritorno al partito unico. E su questo versante la capacità aggregatrice di Berlusconi calamita più consensi di Renzi.

Nel centrosinistra la preoccupazione cresce. La nuova legge elettorale battezzata da Renzi favorirebbe Berlusconi. Una doppia beffa: il rottamatore di Firenze prima l’ha risuscitato e poi gli ha confezionato un sistema di voto su misura. Inutile tutta la fatica per eliminare il Cavaliere dalla politica. Timori che sembravano essersi materializzati nelle parole di Romano Prodi riportate sul Secolo XIX da un giornalista che a lungo aveva seguito il Professore negli anni trascorsi a Palazzo Chigi e a Bruxelles, alla Commissione Ue.

Prodi ha smentito sdegnosamente ieri sera, ma il nervosismo rimane. La minoranza interna al Pd è al lavoro per modificare la bozza di Italicum, alzare la soglia per il premio di maggioranza, ridurre gli sbarramenti per i piccoli partiti. E mette in guardia Renzi dal fare la fine di Occhetto e Veltroni, gioiose macchine da guerra finite sotto i cingoli della controffensiva berlusconiana.

Matteo Renzi ribatte con una sicurezza che rasenta la sicumera, dice che al Pd non interessano le alleanze «con i leader» degli altri partiti (come Berlusconi con Casini), ma il voto degli elettori. Affiora la stessa spavalderia con cui il segretario Pd ha liquidato il sottosegretario Fassina e annunciato la «sua» bozza di riforma alla quale avrebbe piegato il redivivo Berlusconi. I suoi uomini ricordano che alle elezioni il Cavaliere non ci sarà, dovrà inventarsi un candidato nuovo, dunque i giochi sono tutti aperti.

In realtà l’inversione a U di Casini crea gravi problemi al Pd. Essa infatti significa l’inizio della disgregazione del centro, dove ora resiste soltanto Mario Mauro che sabato convoca i suoi Popolari per l’Italia. Voti centristi in uscita, dunque. Ma più Renzi cerca di intercettarli, più rischia di perdere consenso a sinistra, dove − in aggiunta − non si pensa a un meccanismo salva-Vendola in contrapposizione al salva-Lega. Chi dunque riuscirà Renzi ad aggregare per contrastare la calamita-Berlusconi? Il rischio di fare la fine del neonato Pd «a vocazione maggioritaria» di Veltroni è piuttosto elevato.