Lo «spirito del ’94» sta diventando il nuovo mantra di Silvio Berlusconi. Un richiamo a vent’anni fa, alla sua entrata in campo, allo scompiglio in cui versavano i moderati in piena epoca di Mani pulite, e all’ondata di novità che gli consentì di sconfiggere la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto. Lo spirito del ’94 è quello che dovrebbe federare di nuovo i moderati, consentendo al blocco che si richiama al Partito popolare europeo di vincere nuovamente le elezioni.

A sinistra l’effetto Renzi destabilizza il governo anziché consolidarlo, e hanno buon gioco quelli di Forza Italia a rievocare il 1998, quando Romano Prodi dovette cedere Palazzo Chigi a Massimo D’Alema. I tre milioni di elettori delle primarie sono spettatori di un balletto i cui protagonisti scaricano ogni responsabilità.

Ma questo non è sufficiente per dire che il centrodestra ha le carte in regola per la vittoria. I sondaggi, compresi quelli effettuati dagli istituti che tradizionalmente sottostimano il peso dei berlusconiani, ora concordano nel dare il centrodestra in vantaggio sul centrosinistra: addirittura Nando Pagnoncelli a Ballarò ha sostenuto che oggi la coalizione di Berlusconi potrebbe superare la soglia del 37% e vincere dunque al primo turno.

Spesso però si dimentica che si parla sempre di coalizione, e che dunque il Cav ha bisogno di tutti, dalla Lega ai Fratelli d’Italia, da Casini ad Alfano. Ieri a Brescia l’ex ministro Maria Stella Gelmini ha convocato un incontro con queste quattro forze per avviare un percorso comune. «Verso gli stati generali del centrodestra» era l’ambizioso titolo. La Gelmini intendeva mostrare che quello «spirito del ’94» non è soltanto un auspicio del leader ma esiste già nel territorio, tra i militanti di Forza Italia. Ed è opportuno cementarlo subito perché in primavera si vota per il Parlamento europeo, in cui ogni partito corre da solo, ma anche per le amministrative dove si vince soltanto uniti, soprattutto al secondo turno.

Esiste davvero questa unità? Al momento no. Gli alfaniani faranno pesare a Forza Italia il loro appoggio, sapendo che i loro voti sono determinanti per le sorti dei berlusconiani. Casini ha già fatto il grande passo, ma dovrà fondersi nel partito azzurro rinunciando ad altre velleità. La Lega, come ha ricordato ieri a Brescia Paolo Formentini, vuole rispolverare una parola dimenticata da un po’: indipendenza. Parola incisa nello statuto del Carroccio. La voglia di unità non basta per unire.

Nel ’94 i moderati, sotto shock per lo sfacelo della Democrazia cristiana, hanno accolto a braccia aperte un Berlusconi inesperto ma veramente «nuovo». Vent’anni dopo non si può dire che il Cav sia una novità; si sa cosa ha promesso e cosa ha mantenuto. 

E ci sono vent’anni di liti, tradimenti, personalismi, rapporti altalenanti con leghisti e centristi: tutte situazioni da affrontare con attenzione. Nel ’94 c’era una «tabula rasa»; adesso no.

Berlusconi ha ancora in pugno una grossa dote di voti, eppure il suo carisma non è più sufficiente. Decisioni che una volta sarebbero state accettate senza battere ciglio ora vengono contestate. È il caso della scelta di Giovanni Toti. Ieri l’ex direttore del Tg4 ha esordito in un evento di partito, a Brescia. Non ha infiammato gli animi né lanciato slogan di facile presa. È un moderato, uno che cercherà di riaccogliere i dissidenti di Alfano e dei Fratelli d’Italia. Non ha mostrato di avere il piglio del leader. Tant’è vero che nel pomeriggio di ieri, a Milano, in un appuntamento dei club azzurri, è intervenuto Berlusconi in persona per puntellare la leadership nascente.

Toti ha più nemici dentro il partito che fuori. L’ex ministro Paolo Romani, un mediatore nato, uno che ha cercato fino all’ultimo di scongiurare la scissione di Alfano, l’ha messo in guardia: munisciti di armatura ed elmetto con il chiodo, gli ha consigliato. Il clima che attende il neo consigliere nella sede romana di Forza Italia è infuocato. Molti dirigenti forzisti non vedono di buon occhio la politica di apertura ai piccoli. Non dovrebbe essere Forza Italia a muovere il primo passo verso di loro, ma il contrario: visto che la coalizione è una strada obbligata, devono essere i piccoli a farsi avanti con il cappello in mano senza porre condizioni. Altro che «spirito del ’94».