Tutto era nato per la cocciutaggine di un impiegato del comune di Firenze che si è intestardito a condurre una battaglia personale contro Matteo Renzi fin da quand’era presidente della provincia e quindi sindaco. Prima la documentazione sulle spese di rappresentanza alla guida della provincia, poi la condanna in primo grado della Corte dei conti regionale per irregolarità contabili, infine un anomalo cambio di residenza in un appartamento in pieno centro del capoluogo toscano. Renzi vive a Pontassieve, da Firenze sono una manciata di chilometri; ha una moglie giovane e figli piccoli; un sindaco non è obbligato a tenere la residenza nel territorio comunale che amministra; dunque, che necessità c’è dello spostamento anagrafico?
Il sospetto iniziale era che vi si nascondesse un altro “caso Idem”, l’ex ministra del governo Letta che con quella scorciatoia pagò, su un immobile di sua proprietà, l’Imu come fosse prima casa. Ma Renzi non possedeva l’appartamento di via degli Alfani (quante sofferenze da Alfano e gli Alfani): vi è rimasto in affitto per quasi tre anni. Allo scoppio dello scandalo sul quotidiano Libero (qualche altro giornale, per esempio L’Espresso, ne aveva accennato senza credere fino in fondo di avere in mano uno scoop) Renzi ha fatto finta di niente. Pessima strategia, come dovrebbe insegnare il comportamento di Gianfranco Fini per un altro scandalo immobiliare, quello della casa di Montecarlo venduta per quattro soldi da An al cognato dell’allora presidente della Camera. La reticenza equivale ad avere qualcosa da nascondere. E ciò non placa la curiosità dei giornali, tutt’altro.
Adesso si sa che la casa fiorentina di Renzi era pagata dall’amico Marco Carrai, imprenditore che ha beneficiato di lavori e incarichi dall’amministrazione guidata dal Rottamatore del Pd e personaggio che ha aperto molte porte a Renzi in importanti ambienti economico-finanziari nazionali e internazionali. Un esposto all’Agenzia delle entrate (per il sospetto di un’evasione sull’Imu) è diventato un esposto alla Procura della repubblica di Firenze. Un atto dovuto, si è saputo dal Palazzo di giustizia. Ma il fascicolo, stranamente, al momento è privo di ipotesi di reato e quindi anche di indagati. Un “fascicolo esplorativo”, un’inchiesta conoscitiva per acquisire documenti. È lo stesso trattamento riservato ad Annamaria Cancellieri per i suoi rapporti con i Ligresti. Eppure il sospetto è chiaro: l’attico di via degli Alfani potrebbe essere considerato una sorta di contropartita. Io ti do gli incarichi, tu mi paghi il pied-à-terre.
Ipotesi, sospetti, forse soltanto malelingue. Su Renzi, comunque, è già acceso un faro della magistratura. A Firenze le toghe si muovono con grande prudenza. Niente ipotesi di reato, niente indagati; per ora il premier non ha imbarazzi, è relativamente tranquillo. Il garantismo è apprezzabile.
Nei mesi scorsi è diventato procuratore capo una toga equilibrata come Giuliano Giambartolomei, l’ex aggiunto che aveva coordinato le inchieste sugli abusi della comunità del Forteto: in corsa, tra gli altri, c’era anche Ilda Boccassini. A Firenze sono aperte indagini sulle stragi mafiose del ’93, oltre che sulla “cricca” dei grandi appalti e importanti lavori pubblici (come la variante di valico e la Tav sotto l’Appennino); senza contare che a Firenze sono indagati Denis Verdini e Marcello Dell’Utri, personaggi vicinissimi a Silvio Berlusconi, ed è in corso il processo a un’icona della sinistra, cioè il Forteto.
Tutto si svolge nella prudenza e nella riservatezza. Che però, al momento opportuno, potrebbero anche trasformarsi in un’arma. Ora Renzi può lavorare senza intoppi, il suo governo è l’ultima spiaggia per il Paese e le toghe gli usano un certo riguardo. Ma il fascicolo sulla casa dietro Palazzo Vecchio avuta senza pagare affitto resta aperto e ondeggia sulla sua testa come una minacciosa spada di Damocle. Pronto a trasformarsi, se ci saranno riscontri a eventuali ipotesi di reato, in un avviso di garanzia.