Quell’abile pokerista che risponde al nome di Matteo Renzi sta per arrivare al punto in cui dovrà abbandonare uno dei due tavoli in cui sta giocando le sue partite per le riforme. Sta per giungere il momento in cui si procede a carte scoperte e si vedono gli eventuali bluff. Gli italiani non sanno ancora per esperienza diretta se il premier abbia buone carte in mano o se sia semplicemente un avventuriero: ognuno ha i suoi sospetti, ma non ancora le prove. La scadenza di giovedì 10, quando il tribunale di sorveglianza di Milano prenderà in mano il fascicolo sulla modalità in cui Silvio Berlusconi sconterà la pena dopo la condanna per evasione fiscale (domiciliari o servizi sociali, ed eventualmente quale tipo di servizi), scioglierà alcuni nodi.

Finora Renzi ha giocato su due tavoli. Uno per il governo, assieme a quella parte di centrodestra che si autodefinisce «Nuovo» (appunto il Ncd); uno per le riforme istituzionali (legge elettorale, depotenziamento del Senato, modifica del Titolo V della Costituzione e delle autonomie locali) assieme all’altra parte di centrodestra, maggioritaria, cioè Forza Italia. Una strategia spregiudicata che un tempo si sarebbe chiamata «dei due forni».

L’avvicinarsi del momento in cui si definirà la vicenda giudiziaria di Berlusconi crea fortissime tensioni. Il Cavaliere ondeggia tra l’appoggio responsabile alle riforme concordate assieme a Renzi, che gli consente di restare sul proscenio con un ruolo da protagonista, e la tentazione di rovesciare il tavolo perché questo sostegno appare poco produttivo in termini elettorali: i sondaggi concordano nel riconoscere che gli elettori alle europee premieranno il coraggio e la spregiudicatezza di Renzi piuttosto che la «responsabilità» oscura di Forza Italia.

Comprensibile che Berlusconi e le sue truppe vogliano un riconoscimento sia per il Cavaliere azzoppato (non solo metaforicamente, visti i dolori al ginocchio) sia per il partito, il cui contributo riformatore non può restare nell’ombra se non addirittura ignorato dal Pd. Ma Renzi e i suoi intendono tirare dritto, come ha confermato ieri con insospettabile durezza il ministro Maria Elena Boschi. «I numeri li abbiamo comunque, non ci sono margini di trattativa», ha detto ieri la titolare delle Riforme a Sky. «Se Forza Italia dovesse sfilarsi» dagli accordi raggiunti settimane fa nella sede del Pd al Nazareno, si andrebbe avanti con i soli numeri della maggioranza. Addio al sogno berlusconiano di ritagliarsi il ruolo di «padre della patria» e avanti a colpi di maggioranza.

Renzi ha l’appoggio di Pierferdinando Casini, ricevuto ieri pomeriggio a Palazzo Chigi. Resta la certezza che l’impianto riformatore reggerà e la «road map» verrà rispettata. Quindi, non avrà soltanto la maggioranza del governo, ma anche la maggioranza del Paese visto che chiusa la fase parlamentare il testo di revisione costituzionale dovrà affrontare le forche caudine del referendum confermativo. 

Ma più che Forza Italia, è stato ieri il vero contrafforte dell’edificio governativo − cioè Angelino Alfano con il suo Ncd − a raffreddare i facili entusiasmi dei renziani. Il ministro dell’Interno ha minacciato addirittura «strappi e rotture» se il governo non si impegnerà a «diminuire le tasse e tutelare le famiglie», anche se ciò non dovrebbe pregiudicate il cammino delle riforme istituzionali.

Anche Alfano, come Berlusconi, minaccia senza tuttavia rompere del tutto. E questa consonanza di strategia tra Ncd e Forza Italia lascia immaginare che le due formazioni stiano facendo passi avanti nel riavvicinamento. Il rischio per Renzi, a questo punto, potrebbe diventare altissimo: perdere contemporaneamente Berlusconi e Alfano, cioè sia il governo sia il sogno riformista. Se mancasse uno solo degli obiettivi, potrebbe presentarsi agli elettori come vittima delle trappole altrui, della conservazione, delle lobby e degli interessi di quanti si oppongono al cambiamento. Ma se li fallisse entrambi, a Renzi non resterebbe che dare seguito alle promesse di queste settimane: abbandonare il campo per manifesta incapacità.

A destra, per ora, non prevale il «muoia Sansone con tutti i filistei». Alfano minaccia strappi sulle tasse e non sulle riforme; Giovanni Toti, consigliere politico di Berlusconi, critica il Pd ma cerca comunque una strada per l’«agibilità politica» del suo leader. «La pena del silenzio non è prevista nel nostro ordinamento», ha detto ieri. Cioè Forza Italia chiede che il Cav «possa fare comizi, campagna elettorale, essere guida dei moderati come ha fatto negli ultimi 20 anni». Un braccio di ferro che durerà qualche altro giorno, giovedì si comincerà a capire quale futuro i giudici preparano alla nostra politica.