Con la raffica di interviste, comparsate televisive, servizi fotografici per rotocalchi, Silvio Berlusconi sta riproponendo il classico campionario delle campagne elettorali dei suoi partiti, si chiamino Forza Italia, Casa della libertà o Popolo della libertà: uno «one man show». C’è lui, soltanto lui. Ancora una volta si opera l’identificazione tra il centrodestra e il suo leader più rappresentativo e ancora più capace – nonostante tutto – di calamitare voti. Anche se i numeri non sono più quelli di una volta, anche se le vicende giudiziarie (non dimentichiamo che, oltre i servizi sociali a Cesano Boscone, sono aperti numerosi fronti processuali che potrebbero provocare altri e più dolorosi guai al Cavaliere) e l’età suggerirebbero misura e un graduale ma deciso passaggio di consegne, il copione resta quello che va in scena da vent’anni.

Ieri addirittura Berlusconi ha promesso un reingresso in Parlamento in tempi molto stretti: «Tornerò molto prima di sei anni perché la sentenza che ha dato il via a tutto ciò sarà presto dichiarata ingiusta ed annullata». I sondaggi commissionati dal leader di Forza Italia lo collocherebbero al 20% («sarebbe un miracolo, appena sotto le elezioni 2013 quando Alfano era ancora con noi, ma io punto a superare il 25%»).

Eppure tutta l’energia profusa dal Cavaliere non sembra mobilitare più di tanto i suoi elettori, e soprattutto non smuove gli ex elettori che si orientano su Grillo o sul Pd di Renzi. Grillo raccoglie la fascia meno ideologizzata in senso anticomunista o liberale dei moderati, i più colpiti dalla crisi e dalle mancate promesse di cambiamento di Berlusconi; a favore dell’attuale premier sta invece il ragionamento di quanti osservano che sostenere oggi il Pd significa consolidare il quadro politico delle riforme e dei cambiamenti (seppure molti siano di facciata), e indirettamente il sostegno a Renzi sarebbe anche un voto che consente a Berlusconi di non uscire di scena, almeno finché sosterrà i tentativi riformisti.

Le prospettive del centrodestra continuano tuttavia a restare asfittiche. Dopo Berlusconi non si intravede null’altro in Forza Italia: Toti non appare in grado di raccogliere il testimone del Cavaliere e i dubbi sulle chances di Marina Berlusconi permangono, se non crescono: ieri babbo Silvio ha dichiarato che la figlia «farà quello che le sembrerà giusto, io la sconsiglierò di lasciare quello che sta facendo molto bene ora», cioè il numero 1 di Fininvest e della Mondadori. Quanto alla linea politica azzurra, siamo sull’altalena: un momento favorevole a Renzi, un attimo dopo contraria, come dimostra il pasticcio sulla riforma del Senato per la quale Forza Italia ha votato sia il testo governativo sia l’ordine del giorno Calderoli che lo stravolge. «Le nostre ipotesi di riforma sono simili ma quella proposta da Renzi è inaccettabile», ha detto Berlusconi nel collaudato repertorio di dire tutto e il suo contrario.

L’unica costante del programma berlusconiano è l’ostilità al Nuovo centrodestra, vero nemico numero uno, con il quale tuttavia alle prossime politiche Forza Italia non potrà evitare di allearsi se vuole aspirare ancora a ruoli di governo nel futuro. Il Cavaliere riconosce che «i moderati sono maggioranza nel Paese» ma insiste a picconare il Ncd per risucchiarne i consensi, impedirne l’accesso all’Europarlamento (dove è previsto uno sbarramento del 4%) e costringerlo a rientrare alla base. Dal canto loro, gli alfaniani non si radicano sul territorio nazionale e si caratterizzano sostanzialmente come un partito del Sud attaccato al governo, sul quale si addensano anche nubi giudiziarie. 

Per il centrodestra, vecchio e nuovo, il ritrovato protagonismo di Berlusconi per ora rischia di trasformarsi in un vicolo cieco.