Una tenaglia tiene stretto Silvio Berlusconi. L’incudine si chiama Angelino Alfano e il martello Raffaele Fitto. Nell’indecisione in cui si dibatte il leader di Forza Italia, incapace di riprendere in mano il partito e ridare un volto al centrodestra italiano, i due lo mettono in mezzo per raccoglierne l’eredità politica. Il Cavaliere cerca di sottrarsi alla morsa, ma al momento l’effetto è quello che capita a chi si trova nelle sabbie mobili e si agita per uscirne, con il risultato che s’impantana sempre più.

Fitto combatte una battaglia interna a Forza Italia, Alfano esterna. Due uomini del Sud, due possibili delfini di Berlusconi in cerca di legittimazione. Fitto ha fatto un’operazione vecchio stile, dimostrando il pieno controllo del partito sul proprio territorio e ramazzando centinaia di migliaia di preferenze. Ora chiede le primarie, cioè il voto degli iscritti per scegliere il leader. Con una presa così forte sul partito, è la richiesta più logica: investitura popolare che non lascia discussioni. La strada che ha lanciato Matteo Renzi verso la leadership piddina.

Alfano punta invece a coagulare le forze esterne al partito di Berlusconi per costringerlo a scendere a patti. Il passo sarebbe quello di arrivare a gruppi parlamentari unici con Udc e Popolari: ciò consentirebbe anche di consolidare il ruolo di seconda forza del governo, per dissuadere Renzi dal cercare altrove (Sel, transfughi grillini, frange di parlamentari eletti con Mario Monti) il sostegno necessario per varare le riforme. Il nuovo raggruppamento dovrebbe essere la base per un accordo più ampio verso una coalizione popolare unitaria.

Da Forza Italia è partito il fuoco di sbarramento. Alfano avrebbe un peccato originale non perdonabile: appoggia dalla nascita governi a guida democratica. Ma i problemi maggiori sono nel rapporto con Fitto, che si è preso un rimbrotto esplicito da Berlusconi («uno sterile dibattito a mezzo stampa sulle primarie che contribuisce all’immagine negativa che i media ostili costruiscono ogni giorno a nostro danno»). Il pugliese recordman di preferenze però non è rientrato nei ranghi, anzi ha ribattuto con una lettera aperta in cui rovescia su altri l’accusa di «diffondere falsità», aggiungendo una proposta di stampo grillino: trasmettere in diretta streaming l’Ufficio di presidenza che Berlusconi ha convocato per i prossimi giorni, in totale trasparenza verso il popolo dei militanti. Lo scontro tra l’ex Cavaliere e Fitto, che in Forza Italia si è tentato di minimizzare, ieri è divampato pubblicamente.

Primarie o congressi a tutti i livelli, apertura o chiusura verso i «traditori» alfaniani: il Cavaliere è stretto in una morsa ma ancora non si decide. Non lo fa in un momento in cui potrebbe raccogliere qualche consenso in più ai ballottaggi di domenica prossima. Preferisce lanciare segnali, anch’essi tuttavia carichi di contraddizioni, prudenza e ripensamenti, verso la Lega Nord, un partito che guadagna consenso grazie allo spostamento a destra. 

Messe da parte le parole d’ordine su secessionismo e federalismo, ora la battaglia è tutta nazionalistica: contro l’euro, contro l’immigrazione clandestina, contro la riforma Fornero. Posizioni fortemente euroscettiche, che tengono insieme il Front National in Francia e Casa Pound in Italia, difficilmente conciliabili con un partito aderente al gruppo popolare europeo. Del resto, quanto a nazionalismo, difficile battere Matteo Renzi che vagheggia di trasformare il Pd in un «partito della nazione».

La contraddizione maggiore in Forza Italia è che queste fibrillazioni si sviluppano nel momento in cui Berlusconi potrebbe finalmente raccogliere i frutti della politica «responsabile» degli ultimi mesi verso le riforme istituzionali. La rincorsa alla destra leghista e lepenista e le tensioni interne mettono a rischio l’impianto riformatore costruito al Nazareno. Così, già bastonato dagli elettori il 25 maggio, Berlusconi resta paralizzato nella morsa Fitto-Alfano.