Fino all’altro giorno era soltanto un Grillo urlante; da quando ha offerto la disponibilità a trattare sulla riforma elettorale è diventato un Grillo parlante. Saggio e ragionevole. Non è che il Democratellum sia un capolavoro di proposta, pieno com’è di stravaganze tipo la preferenza «negativa». Ed è evidente la distanza tra la bozza grillina e lo schema uscito dal «patto del Nazareno»: un proporzionale puro con qualche correttivo contro un maggioritario di coalizione con ballottaggio e forte premio di maggioranza. È la mossa in sé che va presa in considerazione, il fatto che i 5 Stelle vogliono diventare interlocutori reali del premier. Matteo Renzi non è più l’«ebetino», la vittoria elettorale del 25 maggio non è più frutto di brogli, il governo non è più un occupante abusivo di un palazzo intestato alla famiglia Chigi.
Potrebbe essere un bluff, l’ennesimo dei pentastellati. Uscire dall’angolo in cui li ha relegati il voto del 25 maggio attraverso una proposta irricevibile per poter dire: “Visto? Il Pd non ci vuole, Renzi vuole le riforme per finta”. Non è da escludere. E per questo Renzi ha risposto ok all’incontro proposto dal M5S purché in diretta streaming, in modo che l’operazione di scoprire le carte sia trasparente.
Più probabile che questa sia sì una mossa per uscire dall’angolo, ma non un bluff. Il patto del Nazareno in questo momento vacilla paurosamente: il Pd è percorso da scosse interne, anche se ieri la fronda dei 14 senatori dissidenti è rientrata, mentre Forza Italia arranca faticosamente in cerca di una nuova linea politica. Offrire una sponda a Renzi consente a Grillo di rimettersi al centro del ring e combattere a testa alta e, allo stesso tempo, cercare di isolare Berlusconi.
Non a caso ieri sul blog dell’ex comico è apparso un durissimo attacco al leader del centrodestra, e contemporaneamente è partita una seconda bordata contro Angelino Alfano, ministro dell’Interno «chiacchierone» sulla vicenda di Yara Gambirasio. Un colpo a Forza Italia, un altro a Ncd: gli attuali puntelli di Matteo Renzi. Ovviamente Grillo non punta a formare una nuova maggioranza di governo, non cerca poltrone e responsabilità che sa di non essere in grado di gestire. Vuole però far valere i suoi numeri in Parlamento, anche se al Senato (dove si gioca la vera partita) non bastano per sostituire il centrodestra.
L’altro versante su cui si muove Grillo è quello del voto. I suoi parlamentari lo ammettono tranquillamente: il 40% di Renzi significa che le elezioni non sono dietro l’angolo, il popolo è con il premier nonostante le fibrillazioni interne al Pd, e la prospettiva di avere davanti una legislazione profondamente riformista si rafforza.
La strategia grillina di urlare contro l’immobilismo della politica avrebbe il fiato corto davanti a un presidente del Consiglio movimentista come Renzi, che fino al 2018 ha tempo per realizzare almeno alcune delle mille promesse distribuite a piene mani in questi mesi.
Allo stesso tempo l’ex comico genovese ha capito che gli italiani in maggioranza non sono dei contestatori a oltranza, ma sono pronti a premiare chi mostra uno spiraglio di novità. Se vuole avere un futuro, Grillo deve prendere un po’ del voto moderato, di quelli che finora non si sono fidati di lui. E non bastano un paio d’ore nel salotto di Bruno Vespa per conquistare pensionati, casalinghe e impiegati che ancora guardano la tv senza frequentare più di tanto il web. È rivolta anche a questa fascia di elettori la mossa del cavallo di Grillo, che non vuole finire marginalizzato come Berlusconi o rottamato come Bersani, D’Alema, Mineo e gli altri oppositori interni dell’ex «ebetino».