Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si vedono di buon mattino, parlano per un paio d’ore di riforme e legge elettorale, poi per il resto della giornata l’unico che fa filtrare qualche notizia è il presidente del Consiglio. Il leader del centrodestra, solitamente piuttosto loquace perché interessato ad apparire come figura responsabile e protagonista del cammino riformista, invece tace. Renzi fa capire che il patto del Nazareno regge, che si procede un passo alla volta: prima il nuovo Senato poi la nuova legge elettorale. Berlusconi muto, benché l’unico argomento precluso non siano le riforme ma la magistratura.
Che cosa non torna nella giornata di ieri? Renzi sembra usare il dialogo con Berlusconi da un lato per tranquillizzare i tedeschi, tanto ansiosi di vedere finalmente qualche riforma in Italia, con le riforme che sono diventate una sorta di merce di scambio con la Germania (e dunque l’Europa) per ottenere in cambio, sui vincoli di bilancio, maggiori margini di quella flessibilità che potrebbe favorire un po’ di crescita. Dall’altro la trattativa del Nazareno serve per tenere sulla corda i grillini, che presentano progetti di riforme, chiedono di essere considerati interlocutori affidabili, e vengono ripagati con moneta di poco valore. Grillo vuole le preferenze, come l’ala riformista del Pd che, con Alfredo D’Attorre, ripete che qualsiasi accordo con Berlusconi che non preveda i collegi o le preferenze «è inesigibile». Ma quello che fa andare in bestia l’ex comico è questa semplice osservazione: Renzi «incontra un pregiudicato. E noi?».
Secondo le veline di Palazzo Chigi, Berlusconi avrebbe dato semaforo verde alla riforma del Senato entro l’estate e all’avvio della discussione sull’Italicum. Dai colloqui resterebbero esclusi sia il presidenzialismo sia le preferenze (che Forza Italia non vuole). «Con Berlusconi c’è un buon clima, l’accordo stretto al Nazareno tiene», rassicura Renzi, forse dimenticando di avere promesso in febbraio che le riforme sarebbero state condotte in porto entro pochi mesi. Il premier non parla invece del resto del colloquio: le vicende giudiziarie del Cavaliere, lo scottante tema dell’immunità, l’assetto del sistema radiotelevisivo.
Il silenzio di Berlusconi lascia intendere che proprio questi ultimi temi sono stati il vero oggetto della trattativa con Renzi. Un salvacondotto giudiziario nel caso in cui il processo di appello per il caso Ruby confermasse la condanna in primo grado a 7 anni e il mantenimento dell’attuale assetto radiotelevisivo. Per il leader del centrodestra sembra ormai questa l’ultima trincea in grado di fargli accettare un sistema elettorale, l’Italicum, che lo penalizzerebbe pesantemente (come terzo partito nel Paese, Forza Italia sarebbe esclusa dall’eventuale ballottaggio a meno di recuperare Alfano, Casini e Salvini in un nuovo patto federativo). Il «padre della patria» in realtà è ormai un generale in pensione che tratta una via d’uscita per sé e le sue aziende, un gioco nemmeno troppo difficile da scoprire. Non si chiama Berlusconi (di nome Piersilvio) quell’alto dirigente di Mediaset che fa apertamente il tifo per Renzi, la sua velocità, la sua lungimiranza?